Poesia di Pietro Menditto
Dio della mia adolescenza
Dio della mia adolescenza
Dio della mia adolescenza
il tuo cadavere galleggia ancora
nel cielo del solstizio.
Il sole ammalato di dicembre
non può nasconderti per molto
e le tue membra gonfie
ogni tanto fanno capolino.
Per troppo tempo il mare ti ha nutrito
del suo sale e la tua vendetta
è stata trattenere la sua acqua
come un oscuro seme
per partorirgli un tormento
nel cielo delle illuse beatitudini.
Dio della mia adolescenza
il tuo silenzio si affaticò invano
alle mie tempie quando
credevo di poterti raggiungere
a piedi tamburellando con dita entusiaste
e ironiche fianchi
di cattedrali illuse di parafrasarti.
Sotto le tue palpebre calate
furono archiviate l’estate di quell’anno
e quella di quell’altro ancora
e la ruminazione burocratica
del tempo e la necessità della rosa
e della spina e tutto quanto
potei esibire e posso della antica
sabbiosa confidenza.
Dio della mia adolescenza
ti abbassasti troppo ai frantumi
che ti sfuggirono di mano.
Non aspettava altro il mare
che pescare per vendetta -
e fu un attimo - la perplessità
del vecchio occhio al nuovo brulicare.
Ci sono gioie che non si devono dire
che nel sonno, che il sonno stesso
deve tessere con sete di silenzio.
Per questo anch’io taccio
il resto e la vita che fiorì orgogliosa
sui nostri diversi tumuli.
La gioia che ti riservasti
fu la stessa che ti uccise:
creare un mondo sotto le stelle
guardando l’opposto cardinale,
come un bambino si lancia confidente
una palla dietro le sue spalle.
Dio della mia adolescenza va’ nel sole,
consumati, dove io stesso mi consumo,
dove ogni preghiera,
ogni lamentazione è incenerita.
Facciamola finita, vecchio dei giorni
ormai trascorsi.
Io sono stanco di trascinare il tuo cadavere
per il mondo, di rispondere ogni volta
che non so chi sei,
di aggiungere menzogna a dolore,
di dovermi difendere ogni momento dall’amore.
il tuo cadavere galleggia ancora
nel cielo del solstizio.
Il sole ammalato di dicembre
non può nasconderti per molto
e le tue membra gonfie
ogni tanto fanno capolino.
Per troppo tempo il mare ti ha nutrito
del suo sale e la tua vendetta
è stata trattenere la sua acqua
come un oscuro seme
per partorirgli un tormento
nel cielo delle illuse beatitudini.
Dio della mia adolescenza
il tuo silenzio si affaticò invano
alle mie tempie quando
credevo di poterti raggiungere
a piedi tamburellando con dita entusiaste
e ironiche fianchi
di cattedrali illuse di parafrasarti.
Sotto le tue palpebre calate
furono archiviate l’estate di quell’anno
e quella di quell’altro ancora
e la ruminazione burocratica
del tempo e la necessità della rosa
e della spina e tutto quanto
potei esibire e posso della antica
sabbiosa confidenza.
Dio della mia adolescenza
ti abbassasti troppo ai frantumi
che ti sfuggirono di mano.
Non aspettava altro il mare
che pescare per vendetta -
e fu un attimo - la perplessità
del vecchio occhio al nuovo brulicare.
Ci sono gioie che non si devono dire
che nel sonno, che il sonno stesso
deve tessere con sete di silenzio.
Per questo anch’io taccio
il resto e la vita che fiorì orgogliosa
sui nostri diversi tumuli.
La gioia che ti riservasti
fu la stessa che ti uccise:
creare un mondo sotto le stelle
guardando l’opposto cardinale,
come un bambino si lancia confidente
una palla dietro le sue spalle.
Dio della mia adolescenza va’ nel sole,
consumati, dove io stesso mi consumo,
dove ogni preghiera,
ogni lamentazione è incenerita.
Facciamola finita, vecchio dei giorni
ormai trascorsi.
Io sono stanco di trascinare il tuo cadavere
per il mondo, di rispondere ogni volta
che non so chi sei,
di aggiungere menzogna a dolore,
di dovermi difendere ogni momento dall’amore.