(traduzione da A. de Lamartine)
(prima e seconda parte)
Tu di cui il mondo ancora ignora il vero nome
Spirito misterioso mortale angelo o demonio
Chiunque tu sia, Byron, buono o fatale genio
Io amo dei tuoi concerti la selvaggia armonia
Come amo il rumore della folgore e dei venti
Che mescola la tempesta allo scroscio dei torrenti!
La notte è il tuo soggiorno l’orrore è il tuo dominio
L’aquila re dei deserti trascura così il piano
Essa non vuole come te che delle rocce dirupate
Che l’inverno ha imbiancato che la folgore ha battuto;
Delle rive coperte degli avanzi del naufragio
O dei campi tutti anneriti dai resti della carneficina
E mentre l’uccello che canta i suoi dolori
Costruisce a bordo delle acque il suo nido tra i fiori
Lui dalla sommità dell’Athos varca l’orribile cima
Sospende ai fianchi dei monti il suo nido sull’abisso
Il solo attorniata di membra palpitanti
Tra rocce d’un sangue nero senza fine disgustose
Trovando nelle grida della sua preda la sua voluttà
Cullata dalla tempesta e s’addormenta nella sua gioia.
Anche per te Byron simile a questo brigante dell’aria
Le grida di disperazione sono i tuoi più dolci concerti.
Il male è il tuo spettacolo e l’uomo la tua vittima.
Il tuo occhio come Satana ha misurato l’abisso
E la tua anima tuffandosi lungi dal giorno e da Dio
Ha detto alla speranza un eterno addio!
Come lui ora che regna nelle tenebre
Il tuo genio invincibile erompe in canti funebri;
Egli trionfa e la tua voce su un mondo infernale
Canta l’inno di gloria allo scuro dio del male.
Ma a che serve lottare contro il proprio destino?
Cosa vale una ragione mutila contro la sorte?
Essa non ha come l’occhio che uno stretto orizzonte.
Non portano più lontano i tuoi occhi né la tua ragione:
Fuori di là tutto ci sfugge, tutto si spegne, tutto si cancella
In questo cerchio limitato Dio t’ha assegnato il tuo posto.
Come? Perché? Chissà! Dalle sue possenti mani
Egli ha lasciato cadere il mondo e gli umani,
Come egli ha sparso la polvere nei nostri campi
O seminato nell’aria la notte e la luce;
Egli lo sa, è sufficiente: l’universo è suo
E noi non abbiamo che il giorno presente.
Il nostro crimine è d’essere uomini e di voler conoscere:
Ignorare e servire è la legge della nostra esistenza.
Byron è duro dirlo per lungo tempo ho dubitato
Ma perché recalcitrare di fronte alla verità?
Il tuo titolo davanti a Dio è di essere una sua opera!
Di sentire d’onorare la tua divina schiavitù
Nell’ordine universale portar via un piccolo atomo
D’unire ai suoi disegni la tua libera volontà
D’essere stato concepito dalla sua intelligenza
Di glorificarlo con la tua sola esistenza!
Ecco, questa è la tua sorte. E smetti d’accusarlo
Bacia piuttosto il giogo che vorresti rompere;
Discende dal rango degli dei chi vanta la tua audacia;
Tutto è bene tutto è buono tutto è grande e a suo posto
Agli occhi di colui che fa l’immensità
L’insetto vale il mondo:è costato altrettanto!
Ma questa legge dici tu ripugna alla tua giustizia
Essa non è che un bizzarro capriccio ai tuoi occhi
Una trappola ove la ragione a ogni passo vacilla !
Come per te la mia ragione è immersa nelle tenebre
E non sono in grado di spiegarti il mondo
Ché solo quello che l’ha fatto può spiegarti l’universo!
Più sondo l’abisso, infelice, più mi ci perdo.
Qui giù il dolore al dolore s’incatena.
Il giorno succede al giorno e la pena alla pena.
Limitato nella sua natura infinito nei suoi desideri
L’uomo è un dio caduto che si ricorda dei cieli
Sia che spogliato della sua antica gloria
Conservi la memoria dei suoi destini perduti
Sia che l’immensa profondità dei suoi desideri
Gli presagisca di lontano la sua futura grandezza:
Imperfetto o decaduto l’uomo è il grande mistero
Nella prigione dei sensi incatenato alla terra
Schiavo egli sente un cuore nato per la libertà;
Infelice egli aspira alla felicità
Egli vuole sondare il mondo ma il suo occhio è debole
Egli vuole amare sempre ma quel che ama è fragile!
Tutto mortale è simile all’esiliato dall’Eden:
Quando Dio l’ebbe bandito dal celeste giardino
Misurando con uno sguardo i fatali confini
Egli si siede piangendo alle porte proibite
Egli sente lontano nel divino soggiorno
L’armonioso respiro dell’eterno amore
Gli accenti di felicità, i santi concerti degli angeli
Che nel seno di Dio celebrano le sue lodi
E strappandosi dal cielo con uno sforzo penoso
Il suo sguardo ritorna con terrore alla sua sorte.