Le Tragedie Orestee di Eschilo: Agammennone-Oreste-Coefore e I sette contro Tebe
di Tony Basili
A G A M E N N O N E
Il fuoco è stato visto verso oriente
Ed è il segnale che Ilio è stata presa,
Vent’anni e si è conclusa l’ardua impresa
E il duce, re dei re, sta per tornar.
Il fuoco è quel segnale stabilito,
Che la nave ormai drizza la· prora
Ad Argo sua patria che l’onora
Ed alla moglie lasciata ad aspettar.
Clitennestra sia pronta ad onorarlo
E prepari i sacrifici pe’l ritorno
ché non passerà ormai più d’un giorno
ché il grande re non possa qui arrivar.
Ecco la nave con le rosse vele
Del prode duce che ha raggiunto il porto
E pur si vede un carro da trasporto
carco del bottino che a Troia fé.
Una giovin donna è pur a suo fianco
ed è Cassandra che a Priamo tolse,
Dalla torre d’ Ilio dall’alte mura,
tanto bella e col dono di natura
Capace di predir quel che verrà.
Anche la fine d’Ilio avea predetta
Ma erano saldi i cuori sugli spalti
Ed Ettore era in campo a fare assalti
E niente c’era ancora da temer.
Ma lei lamentando gridava forte
Che era il dio a preparare la rovina,
con un cavallo, sì la vaticina,
era il falso dono da rifiutar.
Ma di Nettuno lor temendo l’ira
Un grande varco fecer nelle mura
e fu vano opporsi al corso di natura
così gli Achei entraron nella città.
Tale era la natura di Cassandra
Che il prevedere sempre la rovina
Stimar non la facea gran vaticina
Da Apollo che un dì lei rifiutò.
Così giunge Agamennone alle porte
E Clitennestra è là e par contenta,
Lo riceve, ringrazia i dei ma è intenta
Alle cose che stan per capitar.
La donna pure entri che l'accompagna,
Ché all’interno faranno dei lavacri,
pur i fuochi son accesi dei simulacri,
Ed i Lari saran da ringraziar.
Con un purpureo peplo all’ingresso,
lo sposo onora infida che vi entra,
ma Cassandra sul carro si tormenta
E ispirata dal dio è a vaticinar.
“Come un toro verrà scannato il prence,
in casa dalla moglie con l’accetta”;
ma anch’essa tal fine ormai s’aspetta
ché a tal destino la Moira la dié.
Nell'eccidio le è’complice l' amante,
Egisto che con essa è convissuto,
Quando l’Atride era a Troia trattenuto,
C'era lui nella sua casa a comandar.
A Cassandra par vano trattenere
il corso delle cose di natura,
E' il fato che ha deciso la iattura
E tra breve là dentro si compirà.
Pur Cassandra entra ma sull’uscio,
si ferma per sentir l’ultimo sole,
nè altra voce verrà da quelle gole
Che stanno l’ultimo alito a spirar,
Nè c'è uno che a conforto si avvicini
A dir: “scappa! Lo sai cosa t’aspetta,
Clitennestra è spietata ed ha l’accetta,
ch'é pronta col suo amante ad ammazzar”.
Poi Clitennestra appar di sangue sozza,
come tigre ruggente ad annunziare,
che al marito gli è toccato di pagare
Per le colpe sue e quelle d’Atreo di ier.
S'è compiuta la mattanza già fissata
Dal Fato che segnò quella sventura,
Ma non si placa così la bile scura
Che s’appresta pur Oreste a vendicar.
Chè par che gli dei abbiano creato
L’uomo che seguir debba il disegno,
del destino di cui lui porta l'ingegno
finchè privo del peso non sarà.
7.2.2011
O R E S T E
Sulla tomba del padre
Libagion Elettra offria
e la madre Clitennestra
causa è del suo penar,
E il ben per chi amava,
e pe’l fratello Oreste,
Chiedea agli dei del ciel.
Ma appena compiuta
l'ombra è insoddisfatta:
“per chi ha in odio Egisto,
tu devi ancora libar!
Che fu di lei compagno
a trucidar tuo padre,
poi devi,o fiero cuore,
Ancor fare una cosa,
Vendetta non pietosa
Hai da prendere pe’l duol
Che lui ti procurò.”
Non devi aver pietà
per chi t'uccise il padre,
scontar deve le pene
Pe’l danno che ti fé.”
C’è una recisa ciocca
Di bei capelli neri
Deposta sulla tomba
Forse da un forestier,
Che la portò pietoso,
Per onorar Oreste,
Un segno rispettoso,
In segno del suo duol.
E c'è di alcuno un’ orma
Chissà chi la lasciò
ma pare della forma,
tal del fraterno pié.
Dacché traggo speranza
Che un dio forse pietoso
Appresti il vendicar,
Del padre e marito incauto,
Che un’aspide finì.
“Son io, mia cara Elettra,
Son io, sono il tuo Oreste !
son giunto qui, ché il dio
vuole per le funeste
Azioni dei due turpi
Un giusto vendicar.”
La madre prevedé
Questo momento truce
con un sogno assai strano,
Di partorire un serpe,
Che con letale bocca,
Le poppe le succhiò.
“Son qui o mio signore ,
son giunto da viandante,
Ché una triste notizia
Vi debbo riferir.
Lungi Oreste da casa
Mi disser ch’era morto.
Non spiaccia se vi porto
Questo nunzio feral. “
“Ma chi sei tu che annunzi
Questo evento strano
Ma è solo forse un vano
mezzo per impietosir!”
E ucciso Egisto giace
in un lago di sangue
Ed il suo corpo langue
E infiamma l’uccisor.
Poi giunge Clitennestra
che il suo amante Egisto
Vede scannato e tristo
E sente la sua fin.
“O figlio ma che hai fatto?
E' questo sen che vedi
A darti il latte un dì.
Osar non puoi tu tanto…
Trafiggere tua madre…
Ché rabide le Erinni
Poi tu dovrai subir.”
“Ma non sei tu mia madre,
Perché m’hai ucciso il padre
E con il vile Egisto
Fosti qui a trescar.
In questa casa mia
Che fu strappata al padre
Inver mi spiacea molto
che me ne foste a privar.
Accanto a lui pertanto
Tu troverai la fine
È la giustizia infine
A cui Apollo mi dié.
Non posso risparmiar
Chi con delitto atroce
La mia grande radice
Troncò senza pietà.”
Immersi son gli amanti
Nel sangue in un sol bagno,
Oreste è andato a segno
Ed or ne impazzirà.
S’offusca la sua mente
E l’occhio pur s’oscura
Ché furor fuor misura
contro la madre indegna
così ebbe a concepir,
ma non per sua natura,
per colpa antica e scura
Che il fato tramandò.
Ognun per sé conduca
L’andar come gli pare
Ma vano è il suo sperare
Ché il fato stia a sentir.
27.3.2000
C O E F O R E
Or fugge Oreste inseguito dalle furie
E vaga per cento vie disperato,
Ma senza fine sono le ingiurie
Dell’ Erinni, che tendono l'agguato,
E timido va supplice ad Apollo
Ché l’omicidio da lui fu ordinato
“ Di quel che hai fatto, Oreste, io m’accollo,
La responsabilità, e senza pena
sei, ch'è vana e indenne n’avrai il collo.”
Ma nel giudizio infine è la catena,
E d’ogni colpa potrà esser prosciolto
Sol se a subir andrà quello d’Atena;
Ma stia tranquillo ché ne sarà assolto,
Ché la dea stessa sosterrà la difesa.
Nel tempio tutto il popolo è raccolto,
Per assistere curioso alla contesa
E le prime a parlar, mal trattenute,
Son le Erinni, che gridan di quale offesa
Quei si macchiasse, contro lor tenute,
A tutelar i vincoli di sangue,
Di cui son vindici riconosciute,
violati da Oreste che ora ne langue
Ed affranto supplica devoto
Al cospetto della dea come un angue
In atto di subir a terra immoto
La pena per aver suo padre vendicato
Che di ritorno da Troia, com'è ben noto,
Con frode dalla moglie fu sgozzato.
Pagarne dovea il fio Clitennestra
Del duplice delitto sì efferato
A danno di quell’uom di quella destra
che al nodo nocque da Giove sancito,
Per stabilir del popolo l’unione
E per aver poi il padre a lui rapito.
Perciò il dio m’impose la missione
D’uccidere la moglie che avea reciso
Il vincolo di fé della sacra unione
E non avrei avuto pace se ucciso
Non avessi lei che il nunzial pegno
Avea col suo amante di sangue intriso.
Ma le Erinni non placano lo sdegno
perciò interviene Apollo con destrezza
Col dire che solo nel cielo è il segno
Dell’uomo e il suo seme senza incertezza
Trova nella donna l'aveo come un mare
Che con la sua guaina rosea carezza
L’uovo che è destinata a conservare.
Ed il padre Giove stesso è vindice
Del torbido danno al fatale andare
Del viver che nell’uomo ha la radice
E a difendere il vincolo è sovrano.
"Cedano perciò le Erinni all’infelice
Che così agendo quel legame umano
Garantì ché il ciel per primo cura
Né vuol quel che si fé, ma è pur vano
rimpianger lei per tal delitto impura.
Vuolsi così colà, dove si pote
Ciò che vuole che non è vostra cura.
Siate paghe del ciel che tiene vuote
Le pene di quei che da tal giudizio
Fu ispirato a seguir le sacre note.
Indenne sia ergo Oreste da supplizio
Ché ogni cosa si compia per un fine
E la mente ch'è lassù ne sa il confine."
12.3.2000
I SETTE CONTRO TEBE
Ovunque s’ode il pianto e lo scongiuro
Di donne che agli dei impetran riparo
E tutte sono a pregar per il futuro
Che sta per giungere ché non sia amaro,
ma verso loro il re Eteocle inveisce
Ché col pianto il senno si infiacchisce.
Piuttosto tornino ai loro simulacri,
Se voglion bene alla città di Tebe,
E non pregare dovrebbero i lari
Ma preparare tutto quel che serve
Per la difesa della cinta e delle porte,
Nè si senta più parlare di morte!
Una vedetta giunge che annunzia
Che sette sono i duci del nemico
Al seguito di Polinice che rinunzia
Vuol chieder al re del trono e fè l’intrigo,
Lui rinnegato sta a guidar lo stuolo,
e vuole la città radere al suolo.
Ognun di questi assalterà una porta:
Chi andrà agli spalti e chi verso le mura!
Ed il primo di lor è Tideo ch’è forte,
E poi Colofone ch’è di statura,
come un gigante di grande prestanza
e il coro a sentir piange nella stanza.
Degli altri capi dice ancor tanto
E a ognuno oppone un di forza pari,
Ma Eteocle riferisce poi in pianto
Che c’è Polinice pur tra gli avversari
A forzar la porta che vuol distrutta
E uccider lui Eteocle per dirla tutta.
Quest’è lo scontro che il destino impone
E la sventura d’Edipo s’avvera
Che i figli suoi in tale confusione
In questa lotta troveranno maniera
Di annientarsi e spartir nel sangue
Il suol di Tebe che senza colpa langue.
Son le donne a supplicar di non andare
Contro suo fratello ché le Erinni
Il sacrilegio faranno a Eteocle pagare
Ma non convincono il re i loro inni
E ne fa eco il coro con lamenti,
ma non riesce a fermar i fatali eventi.
Che gli impedisce di tirarsi indietro?
Ché sarebbe per lui una gran vergogna
Se il pericolo che sovrasta tetro
Lascia ad altri gestir è porsi alla gogna;
Bensì otterrà fama pur con la morte
più che sfuggire quel che è la sua sorte.
“Gli dei da tempo ci hanno abbandonati,
dei figli d’Edipo voglion la rovina
ché l’infamia che ci ha contaminati
Sol la morte estinguerà che è vicina,
e sarò certo io Eteocle pronto al duello;
Sì vuol il fato contro mio fratello!”
Clamor di pugna s’ode dagli spalti
E il coro piange, prega, non ha pace,
Poi i Tebani bloccano gli assalti
E il clangor d’arme cessa e tutto tace,
Ché i Sette son respinti ed è ritirata,
tanti uccisi ma Tebe l’ha scampata.
Esulta il coro e trova sulla porta,
pur Polinice morto che contro ebbe
Il fratello Eteocle, che n’era di scorta,
se il destin non fosse sì non sarebbe,
Ché dei due nessun risparmiò una botta,
E l’un l’altro ha ucciso a finir la lotta.
I fratelli sono ora separati
Chè ad Eteocle danno onorata sepoltura
Che la città difese da quei forsennati
Guidati dal fratello che per iattura
Si vuole che insepolto resti al suolo
pasto a lupi e corvi senza un lenzuolo.
Ma Antigone n’è afflitta e la ria sorte
Del fratello piange e non si dà tregua
Sdegnando che Polinice oltre la morte
Pagar debba il fio che par l’ insegua
Per colpe che gli giungon a far danno,
Di lontano! Quest’è il Fato tiranno.
16.12.14