Poesia di Alberto Nicola Giulini
Quasi
la poesia mi ha salvato, oltre i nembi dell'umana follia;
fin dal principio ha dispiegato le sue ali protettrici
come una nutrice molto particolare -
chiedendo un'assoluta dedizione: (e dici poco?)
Non ostante brancolassi con gli incerti passi
come se camminassi sulle uova - ancor oggi mi muovo male
tra gli uomini... Mi trovo
nella sub-umana o ultra.umana condizione
di un'antica Vestale del sacro fuoco: guai
se lo lasciassi spegnere, perché
diventerei io stesso...cenere.
Per questo ancestrale motivo, come Icaro da allora
continuo a precipitare... Fino a quando
e Da dove?
può salvarmi - quale imperscrutabile salvacondotto -
il Cigno leggendario (mio Padre)...
Il Sogno senza fine dei provenzali e dei Celti,
che ripercorro in questa fottuta incarnazione
con occhi al tempo stesso semichiusi-velati e
semiaperti qual donna perennemente mestruata,
scrutando le notturne volte celesti.
(Dichiara l'Autore: "Ho l'impressione - neppure tanto lontana dal vero, di aver sbagliato tutto o quasi..." - Scrive spesso poesie mai terminate, mai davvero concluse: egli si vuole al contempo sentire "sciolto" (libero) dal legame ancestrale di sangue e meta-fisico, che lo lega alla propria "gemella" poesia; cosa c'è di più liberatorio ecc. di scrivere con tutta calma - si fa per dire - quello che passa attraverso gli elementi primigeni del cielo e (dell'ora ridotta a povera terra) mediante gli alternatori di coscienza che sono poi le sfaccettature dei diversi io).