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Edith Stein
Grandi donne della storia

Edith Stein, ultima di una famiglia di sette figli, nasce il 12 ottobre 1891 nella città tedesca di Breslavia (oggi
Wroclav, in Polonia).
È ebrea. All'età di tre anni le muore il padre, un commerciante di legname.
Durante gli studi universitari (diventerà professoressa di filosofia) si interessa al cristianesimo.
Studia in particolare gli scritti di santa Teresa d'Avila e a 31 anni si fa cattolica.
Ma vuole anche diventare monaca, tra le carmelitane. La fanno aspettare, aspetta dieci anni, e infine viene accolta nel monastero di Colonia e diventa suor Teresa Benedetta della Croce.
Nove anni dopo, nel monastero entra la Gestapo per arrestarla. Motivo: Edith è di famiglia ebrea.
Lei non fa nulla, non accampa l'argomento della sua fede cattolica, del suo stato di monaca cattolica.
I suoi fratelli ebrei vanno alla morte e lei accetta di morire con loro.
I nazisti hanno già deportato il fratello Paul (con la moglie e la figlia Eva) e la sorella Frieda.
Le suore carmelitane, nella speranza di salvarla dalla persecuzione nazista, l'hanno mandata in Olanda nel Carmelo di Echt. Ed è qui che il 2 agosto 1942 viene arrestata assieme alla sorella Rose, anch'essa convertitasi al cattolicesimo e suora carmelitana. Cinque giorni dopo arriva nel campo di concentramento di Auschwitz.
Il 9 agosto 1942 Edith Stein con la stella gialla cucita sul petto entra nella camera a gas con il numero 44074. La sua è una storia di amore e di coraggio.
Le guerre ci presentano sempre lo stesso spettacolo: quando una persona precipita nella peggiore malvagità, ce n'è sempre un'altra, nello stesso momento, che s'innalza alla grandezza col suo sacrificio.
C'è sempre chi salva l'onore dell'umanità. Nel 1987 Edith Stein viene proclamata beata.

Quel giorno
12 ottobre 1922. È l'anniversario della mia nascita. È anche festa religiosa per gli israeliti, perché
è l'ultimo giorno dei Tabernacoli.
Ho appena comunicato a mia madre, che ha 84 anni, di essermi fatta cattolica.
È scoppiata a piangere. Non mi aspettavo questa reazione.
Non avevo mai visto mia madre piangere.
Avevo immaginato rimproveri, violenza, una rottura forse.
Ma mia madre si è messa a piangere e presto le mie lacrime si sono mescolate con le sue.
Quel giorno lo abbiamo passato nella più grande intimità possibile.
Ho accompagnato mia madre alla sinagoga.
Tornando a casa a piedi ho cercato di consolarla.
A un certo punto mia madre mi ha chiesto: «Si può essere pio e restare israelita?». «Certamente», ho risposto.

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