Anche quell'afoso pomeriggio di luglio, con mio fratello mi recai presso una vicina strada di montagna dove far correre il nostro cagnolino per mantenerlo in forma fisica. Ci concedevamo spesso quelle uscite: era infatti per noi gratificante assistere alle spensierate corse del nostro amico a quattro zampe, il quale dimostrava di gradire particolarmente quelle passeggiate. Quando capitava che per sopravvenuti impegni non riuscivamo a concedergli tali momenti di svago, lui ce lo ricordava scodinzolando e saltellandoci attorno.
Appena raggiungemmo quel luogo, il nostro inseparabile amico provvide a soddisfare le sue esigenze fisiologiche, prima di avviarsi al galoppo dietro la nostra auto. Avevamo percorso un centinaio di metri, quando scorsi, poco oltre il ciglio destro della strada, una testolina bianca che cercava di nascondersi dietro un ciuffo di timo. Incuriosito, osservai meglio. Volevo capire di cosa si trattasse. A prima vista, mi sembrò una lepre. Solo che le lepri, da quello che mi risulta, non hanno la testa bianca. Perciò ne chiesi la conferma a mio fratello che era alla guida dell'auto. Lui però, anziché rispondermi, subito arrestò la marcia del veicolo, esortandomi a scendere con cautela per evitare di impaurire ulteriormente la bestiola. Secondo lui, non si trattava di una lepre, ma di un coniglio, giunto sin li chissà come e da dove.
Provai ad avvicinarlo con cautela. Ebbi così modo di incrociarne lo sguardo impaurito, mentre cercava di mimetizzarsi meglio fra l'erba. Mentre mio fratello richiamava il nostro cane per impedirgli di arrecare disturbo alla bestiola, mi avvicinai a essa ancor più lentamente. Giuntole a breve distanza, rapidamente la afferrai per le orecchie e la immobilizzai. Fui costretto a prenderla per le orecchie, perché esse si offrirono più facilmente alla mia presa. In quel momento mi resi conto di avere fra le mani un magnifico esemplare di coniglio: un coniglio che però, normalmente, non avrei dovuto incontrare lì. Come vi era giunto? Allora mio fratello ricordò che nei paraggi avevano costruito da poco un allevamento di animali destinati alla macellazione. Collegando le due circostanze, concludemmo che la bestiola proveniva sicuramente da quella prigione. La sua fuga doveva essere pure recente, altrimenti le numerose volpi che vagano nella zona l'avrebbero già divorata.
Lo sguardo dolce e terrorizzato del coniglio, unitamente con la simpatica macchietta nera che presentava sul musetto, ci conquistarono immediatamente. Decidemmo di chiamarlo Duffy e di tenerlo con noi. Riportarlo in quell'allevamento, avrebbe significato decretarne il ritorno in un luogo di sofferenza e di morte.
Così lo portammo a casa, dove controllammo che non presentasse eventuali danni fisici. Dopo di che, lo trasferimmo nella nostra “fattoria”: vale a dire in un'ampia area recintata, dove avrebbe potuto trascorrere tranquillamente il resto dei suoi giorni in compagnia di altre bestiole sottratte come lui a un triste destino.
Introdotto nel recinto, Duffy si relegò in un angolo. Dopo un po', provò ad avvicinarsi all'erba. A qualcosa che non conosceva, ma che lo attirava per istinto. La annusò a lungo prima di assaggiarla. E siccome non avevamo mangime da offrirgli, perché le altre nostre bestiole seguono regimi alimentari assolutamente naturali, dovette necessariamente mangiarla. Già dal giorno successivo però, scomparve ogni sorta di imbarazzo. Duffy non solo si alimentava normalmente, ma trascorreva il suo tempo sdraiato al sole: a quel sole che in precedenza non aveva mai visto!
Da allora, cominciò a correre felice in compagnia dei suoi nuovi amici. Così vedeva premiata la sua evasione verso la libertà: verso quella libertà donatagli dalla natura e crudelmente negatagli dalla cattiveria umana. Duffy visse così per quasi due mesi. Una sera, portandogli come sempre le carote delle quali era ghiotto, contrariamente a quello che faceva normalmente, non ci corse incontro festoso. Preoccupati, cominciammo a cercarlo. Finalmente, scorgemmo il suo corpicino riverso sul terreno. Duffy era morto! Sul suo corpo non si evidenziavano segni di violenza. Il che voleva dire che era morto per cause naturali. Commossi, lo prendemmo in braccio. Lo stringemmo a noi per l'ultima volta. Stavamo definitivamente salutando chi ci si era dimostrato un vero amico. Eravamo riusciti a salvarlo dalla malvagità umana, ma non avevamo potuto sottrarlo al suo destino.
Adesso Duffy riposa lì vicino, insieme con altre bestiole che prima di lui ci hanno accompagnati e lasciati. Da allora sentiamo la sua mancanza, la quale viene rafforzata e non lenita dal trascorrere del tempo. Speriamo che almeno ora sia riuscito a trovare quella serenità negatagli dall'umano egoismo. Speriamo che almeno noi siamo riusciti a mitigargliela.
Ciao, Duffy: ci manchi e ci mancherai sempre.