La Divina Commedia
Paradiso Canto XXII
Paradiso Canto XXII
Ancora settimo cielo (o di Saturno). - Ottavo cielo (o stellato).
Sgomento di Dante e spiegazioni di Beatrice. Si fa avanti l'anima di san Benedetto. Dante lo prega di mostrarglisi nella sua figura umana: di che non può essere accontentato. Decadenza dell'ordine benedettino e di tutta la Chiesa.
Su per la scala, dietro ai beati che tornano all'Empireo, Dante e Beatrice giungono al cielo stellato, nella costellazione dei Gemelli. Sguardo ai pianeti e alla terra.
Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come pargol che ricorre
sempre colà dove più si confida;
e quella, come madre che soccorre
subito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che 'l suol ben disporre,
mi disse: «Non sai tu che tu se' in cielo?
e non sai tu che 'l cielo è tutto santo,
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
come t'avrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;
nel qual, se inteso avessi i prieghi suoi,
già ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua su non taglia in fretta
né tardo, ma' ch'al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
ché assai illustri spiriti vedrai,
se com'io dico l'aspetto redui.»
Come a lei piacque, gli occhi ritornai,
e vidi cento sperule che insieme
più s'abbellivan con mutui rai.
Io stava come quei che in sé repreme
la punta del disio, e non s'attenta
di domandar, sì del troppo si teme;
e la maggiore e la più luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di sé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': «Se tu vedessi,
com'io la carità che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perché tu, aspettando, non tarde
a l'alto fine, io ti farò risposta
pur al pensier, da che sì ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino è ne la costa
fu frequentato già in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui che in terra addusse
la verità che tanto ci sublima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti
da l'empio culto che 'l mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini furo, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e' frutti santi.
Qui è Macario, qui è Romoaldo,
qui son li frati miei, che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo.»
E io a lui: «L'affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch'io veggio e noto in tutti gli ardor vostri,
così m'ha dilatata mia fidanza,
come 'l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant'ell' ha di possanza.
però ti priego, e tu, padre, m'accerta
s'io posso prender tanta grazia, ch'io
ti veggia con imagine scoverta.»
Ond' elli: «Frate, il tuo alto disio
s'adempierà in su l'ultima spera,
ove s'adempion tutti gli altri e 'l mio.
Ivi è perfetta, matura e intera
ciascuna disianza; in quella sola
è ogni parte là ove sempr'era,
perché non è in loco e non s'impola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde così dal viso ti s'invola.
Infin là su la vide il patriarca
Iacob porger la superna parte,
quando gli apparve d'angeli sì carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa è per danno de le carte.
Le mura che solìeno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor dei monaci sì folle;
ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
è de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti né d'altro più brutto.
La carne de' mortali è tanto blanda,
che giù non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier cominciò sanz'oro e sanz'argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi il principio di ciascuno,
poscia riguardi là dov'è trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan volto retrorso
più fu, e il mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui 'l soccorso.»
Così mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
poi, come turbo, in su tutto s'avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
sì sua virtù la mia natura vinse;
né mai qua giù dove si monta e cala
naturalmente, fu sì ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel devoto
triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'è padre d'ogni mortal vita,
quand'io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a sé la tira.
«Tu se' sì presso a l'ultima salute.»
cominciò Beatrice, «che tu dèi
aver le luci tue chiare ed acute.
E però, prima che tu più t'inlei,
rimira in giù, e vedi quanto mondo
sotto li piedi già esser ti fei;
sì che 'l tuo cor, quantunque può, giocondo
s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo ètera tondo.»
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell'ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com si move
circa e vicino a lui Maia e Dïone.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
E tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom'io con gli eterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
Poscia rivolsi gli occhi a gli occhi belli.
Tutti i Canti del Paradiso
mi volsi, come pargol che ricorre
sempre colà dove più si confida;
e quella, come madre che soccorre
subito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che 'l suol ben disporre,
mi disse: «Non sai tu che tu se' in cielo?
e non sai tu che 'l cielo è tutto santo,
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
come t'avrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto;
nel qual, se inteso avessi i prieghi suoi,
già ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
La spada di qua su non taglia in fretta
né tardo, ma' ch'al parer di colui
che disiando o temendo l'aspetta.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
ché assai illustri spiriti vedrai,
se com'io dico l'aspetto redui.»
Come a lei piacque, gli occhi ritornai,
e vidi cento sperule che insieme
più s'abbellivan con mutui rai.
Io stava come quei che in sé repreme
la punta del disio, e non s'attenta
di domandar, sì del troppo si teme;
e la maggiore e la più luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di sé la mia voglia contenta.
Poi dentro a lei udi': «Se tu vedessi,
com'io la carità che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Ma perché tu, aspettando, non tarde
a l'alto fine, io ti farò risposta
pur al pensier, da che sì ti riguarde.
Quel monte a cui Cassino è ne la costa
fu frequentato già in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
e quel son io che su vi portai prima
lo nome di colui che in terra addusse
la verità che tanto ci sublima;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch'io ritrassi le ville circunstanti
da l'empio culto che 'l mondo sedusse.
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini furo, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e' frutti santi.
Qui è Macario, qui è Romoaldo,
qui son li frati miei, che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo.»
E io a lui: «L'affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch'io veggio e noto in tutti gli ardor vostri,
così m'ha dilatata mia fidanza,
come 'l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant'ell' ha di possanza.
però ti priego, e tu, padre, m'accerta
s'io posso prender tanta grazia, ch'io
ti veggia con imagine scoverta.»
Ond' elli: «Frate, il tuo alto disio
s'adempierà in su l'ultima spera,
ove s'adempion tutti gli altri e 'l mio.
Ivi è perfetta, matura e intera
ciascuna disianza; in quella sola
è ogni parte là ove sempr'era,
perché non è in loco e non s'impola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde così dal viso ti s'invola.
Infin là su la vide il patriarca
Iacob porger la superna parte,
quando gli apparve d'angeli sì carca.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa è per danno de le carte.
Le mura che solìeno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor dei monaci sì folle;
ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
è de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti né d'altro più brutto.
La carne de' mortali è tanto blanda,
che giù non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
Pier cominciò sanz'oro e sanz'argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi il principio di ciascuno,
poscia riguardi là dov'è trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
Veramente Iordan volto retrorso
più fu, e il mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui 'l soccorso.»
Così mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e 'l collegio si strinse;
poi, come turbo, in su tutto s'avvolse.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
sì sua virtù la mia natura vinse;
né mai qua giù dove si monta e cala
naturalmente, fu sì ratto moto
ch'agguagliar si potesse a la mia ala.
S'io torni mai, lettore, a quel devoto
triunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e 'l petto mi percuoto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant' io vidi 'l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
O gloriose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
con voi nasceva e s'ascondeva vosco
quelli ch'è padre d'ogni mortal vita,
quand'io senti' di prima l'aere tosco;
e poi, quando mi fu grazia largita
d'entrar ne l'alta rota che vi gira,
la vostra region mi fu sortita.
A voi divotamente ora sospira
l'anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a sé la tira.
«Tu se' sì presso a l'ultima salute.»
cominciò Beatrice, «che tu dèi
aver le luci tue chiare ed acute.
E però, prima che tu più t'inlei,
rimira in giù, e vedi quanto mondo
sotto li piedi già esser ti fei;
sì che 'l tuo cor, quantunque può, giocondo
s'appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo ètera tondo.»
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l'ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell'ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com si move
circa e vicino a lui Maia e Dïone.
Quindi m'apparve il temperar di Giove
tra 'l padre e 'l figlio; e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
E tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom'io con gli eterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
Poscia rivolsi gli occhi a gli occhi belli.
Tutti i Canti del Paradiso