Poesia di Piero Tucceri
Quando mi insegnasti come pregare
Pioveva, quel giorno.
Scorreva così
l’ultimo autunno
della tua malattia.
Che era anche il nostro
ultimo autunno.
Fu allora
che dalla tua cattedra di dolore,
mi insegnasti come pregare.
Ero seduto
sul tuo letto,
per poterti meglio
guardare negli occhi.
Così mi insegnasti
come pregare.
Mi raccomandasti
di farlo allora,
quando stavo
ancora bene,
perché dopo,
mi ripetevi,
quando si sta male,
si perde anche
la voglia di pregare.
Mamma,
mai dimenticherò
la tua fede amorosa.
Non ti preoccupavi per te,
che pure soffrivi tanto,
ma ti prendevi
ancora cura di me.
Non pensavi alla tua vita,
ormai prossima alla fine,
ma ti preoccupavi della mia.
Ti preoccupavi
per la vita di tuo figlio,
che ti apprestavi a lasciar solo.
Mi ripetevi di non aspettare
il momento del bisogno,
ma di pregare nei giorni del bene.
Perché poi,
durante la malattia,
è facile accusare,
aggredire e ribellarsi.
Perché, allor ci si domanda?
Perché proprio a me?
Per questo è difficile pregare
durante la malattia.
Perché allora
l’egoismo del dolore
domina gli altri interessi.
La malattia ci trasforma:
da vittime del male
che ci consuma,
a colpevoli
per quello stesso male
che ci appare come un castigo.
Allora,
più che i nostri consolatori,
diventiamo i nostri persecutori.
Mi ripetevi
che il dolore
non chiede spiegazioni:
il dolore domanda soltanto
la sua condivisione.
La sola preghiera
che esso esiga,
ti premuravi di ricordarmi,
è nello sguardo
e nel pianto.
Nel fiume di lacrime
che solca l’eternità.
E siccome il mondo
è un immenso pianto,
per questo è esso stesso
una immensa preghiera.
Perciò grazie, Mamma:
grazie per avermi insegnato
come pregare.