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Poesia di Andrea Zanzotto 
Al mondo 

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa' che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva

non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
 con questo super-cadere super-morire

il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
 e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po' più in là, da lato, da lato.

Fa' di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
 fa' buonamente un po';
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
Su, munchhausen.

Si chiama paradosso un ragionamento contraddittorio, che viola le più elementari leggi della logica e del senso comune e produce in chi lo segue una sorta di disorientamento. La preghiera che Zanzotto rivolge al mondo mette in evidenza - con ironia e anche con una vena di umorismo -
la paradossalità che sta alla base del rapporto tra soggetto e oggetto, e la rappresenta - in modo estremamente ellittico e un po' oscuro - nell'epiteto finale che al mondo viene attribuito: munchhausen.

Il riferimento è a un famoso episodio delle Avventure del Barone di Munchhausen (1785) di Rudolf Erich  Raspe, quello in cui il nobile spaccone esce da una palude nella quale era caduto afferrandosi per i capelli e sollevandosi da sé.

Al mondo,  (tratta da La Beltà (1968) è tra le più note di Zanzotto)

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