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Le Poesie di Pietro Menditto





















Il momento in cui tutto smette di sanguinare
e il fanciullo divino sembra aver ottenuto te
in risposta al gioco del perché e per un po’ tace.

Il momento che se un esterno c’è non pare pace
ma qualcosa come un ansioso incantamento
della carne che rispecchiata si contempla alla tua fronte…

Tu non lo sai, nessuno lo sa, e sul registro
è segnato un codice che nulla ha che vedere
con inchiostro, sangue, carta e ancora carne
e dura quel tanto fino a che una voce ti riscuote:
“Guarda, si è incantata!”, ma in quale canto?

In quale canto ti sei dovuta fermare ? – le dita
sul davanzale, una tastiera di un tasto solo;
l’odore della pelle che mi raggiunge nell’emisfero
da cui sto trasmettendo ciò che non vedo; la forma
che non possiedo se non in questo sentimento
prostrato del non averti – nel senso che all'‘avere’
danno i mendicanti di senso. E ancora: i capelli
che sanno di femmina che da un po’ trattiene
la sua energia biforcuta che piacevolmente
ci infilza, mi infilza tra pancia e cuore e la mente
in volontario esilio…

Mentre tutto questo avviene – diviene – viene,
un protocollo è rispettato della cornice.
Gli altri sanno che ti riavranno – nel senso che
al ‘riavere’ danno i mendicanti di non-senso –
e adempiono, fiatano nel palloncino dell’atmosfera
e in cambio ne ricevono tickets di giorni che
chiamano vita condivisa e tu, tu che ormai lentamente
ti ritrai dalla finestra senza voltarti, arretrando come
in un’altra visione del mondo, come davanti al sogno
di un sogno celeste (che non c’è stato) e poi
riprendi (cosa?) le tue occupazioni che sono
i frantumi di questo e altri - come questo -
momenti in cui tutto (almeno così pare) tutto
smette di sanguinare e il fanciullo divino sembra
aver ottenuto te in risposta alla richiesta
di un sogno adulto, in cui riannodare l’ombelico
scioltosi mentre strisciava, sbirciando la nostra vita,
la tua, sotto la gonna satura del tuo odore.





























 
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