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La donna nella vita della Chiesa

«La donna? Che la piasa, la tasa, che la stia in casa.» Il curioso proverbio sarebbe stato pronunciato da san Pio x, il papa veneto, l'ultimo dei successori di Pietro ad essere stato elevato agli onori dell'altare.
Un aneddoto che certamente non rende giustizia al pontefice a cui deve il nome il famoso catechismo sul quale, in questo secolo, si
sono formate generazioni e generazioni di credenti.
L'episodio scherzoso, rievocato proprio in occasione della pubblicazione della «Lettera alle donne» di Giovanni Paolo Il, se tradisce un certo livore anticlericale è utile per comprendere il cammino compiuto dall'universo femminile all'interno della Chiesa.
Sicuramente sono lontanissimi i tempi in cui qualche teologo addirittura si chiedeva se le donne avessero l'anima.
Correva l'anno 585 e a Macon, nella Francia centrale, durante una pausa dei lavori sinodali, un vescovo chiese di poter iscrivere la delicata questione all'ordine del giorno.
Ma i suoi confratelli, riferiscono le cronache del tempo, lo misero subito a tacere.
Come poteva conciliarsi una simile affermazione con l'omaggio che da sempre la Chiesa attribuisce ad una donna, Maria la madre di Gesù, concepita senza peccato originale?
O con l'atteggiamento tenuto da Gesù nei confronti della donna (basti pensare all'episodio dell'adultera)?
Davvero la Chiesa dei primi secoli aveva battezzato, confessato e ammesso all'eucaristia degli esseri senza anima?
E non erano forse donne Sant' Agnese, Santa Cecilia, Sant' Agata, i primi martiri onorati dalla Chiesa?
Così come erano donne, e non uomini, Priscilla, Lidia e Fede, ricordate con riconoscenza e affetto nel Nuovo Testamento da San Paolo, proprio l'apostolo che più d'ogni altro è stato accusato di misoginia.
In realtà il cristianesimo, anche se senza mai riuscire a sovvertire un pregiudizio culturale già abbondantemente diffuso nella società pagana, proprio attraverso la proposta della verginità consacrata per un lungo periodo è stato per le donne un grande fattore di emancipazione. Tra il III e il V secolo la donna passava dalla patria potestà alla potestà maritale senza che l'ordinamento civile le riconoscesse dei diritti. La vergine cristiana, al contrario, veniva ad essere una donna assolutamente libera.
Non solo, l'istituto monastico, come è ormai ampiamente riconosciuto, è stato storicamente una delle realtà che veramente ha consentito alle donne di accedere alla cultura nel suo senso più ampio.
La Chiesa però non si pone di fronte al mondo come una realtà astratta, come un qualcosa di totalmente spirituale.
Essa è fatta di uomini e donne che vivono pienamente il loro tempo, subendone, sebbene in diversa misura, condizionamenti, inclinazioni culturali, pregiudizi. Sempre la mentalità del «mondo», pur senza mai intaccare l'oggettività del dato di fede, finisce in qualche modo per influenzare l'azione concreta dei singoli battezzati.
Per questo considerando la relativamente recente affermazione dei movimenti di liberazione femminile (in Italia il diritto di voto alle donne è conquista di neppure mezzo secolo or sono) è facilmente immaginabile a quanti soprusi ed umiliazioni sia andata incontro la donna in questi duemila anni di storia cristiana.
Lo ha riconosciuto anche Giovanni Paolo Il, che nella sua «Lettera alle donne» si è battuto il petto ed ha chiesto scusa per gli errori del passato. «Non sono mancate», ha affermato, «specie in determinati contesti storici responsabilità oggettive anche in non pochi figli della Chiesa.» Anche nella Chiesa perciò l'affermazione pratica della parità della donna è conquista recente.
E neppure tanto pacifica visto che ancora oggi movimenti numericamente non grandi, ma culturalmente molto aggressivi ritengono la Chiesa cattolica un centro di potere tipicamente maschilista, che consegna il «potere del sacro» -cioè il potere più alto, quello del sacerdozio - soltanto agli uomini escludendo «per sempre» le donne.
Un potere che comunque nel corso dei secoli in verità non ha potuto evitare che figure femminili come santa Teresa d'Avila (bollata in vita come «femmina inquieta e vagabonda») e santa Caterina da Siena (interlocutrice senza complessi di inferiorità di Papi e di «Messeri», di delinquenti e di santi) 'fossero non solo proclamate sante, ma anche riconosciute quali Dottori della Chiesa al pari
di sant' Agostino e di san Tommaso d'Aquino.
Non va poi mai dimenticato che spesso comportamenti e situazioni considerati oggi discriminanti, un tempo non erano avvertiti come tali. Basti pensare agli spazi riservati nelle chiese alle donne, i matronei, che anche sulla scia della tradizione ebraica hanno segnato alcuni secoli di cristianesimo.
Oppure alla separazione, in voga fino a pochi decenni fa, tra maschi e femmine persino nelle classi minori del catechismo.
Da Pio XIl al Vaticano Il
Discriminazione religiosa o «tutela» dei «beni» degli uomini?
Comunque la si voglia guardare, la prima «frattura» con il passato risale agli anni del Concilio Vaticano Il.
Prima di allora, infatti, c'erano state certamente donne di grande importanza, anche in Vaticano.
Per tutte basti ricordare madre Pasqualina, la suora che accudiva papa Pacelli e che a quei tempi «pesava quanto un Cardinale».
Si trattava però di semplici eccezioni. Lo stesso Pio XII, per la verità, dedicò grande attenzione ai problemi posti dal nuovo ruolo che la donna andava assumendo nella società contemporanea.
E sufficiente scorrere l'indice analitico dei suoi Discorsi e radiomessaggi per rendersi conto dell'insistenza dei suoi interventi in materia, tutti caratterizzati, è vero, dalla preoccupazione di salvaguardare il tradizionale ruolo affidato alla donna, ma anche dal riconoscimento delle esigenze e delle possibilità a lei aperte dall'evoluzione dell'ultimo mezzo secolo, e dall'appello all'impegno operativo sia nella vita sociale e politica, sia nell'apostolato ecclesiale. Non è difficile, del resto, scorgere nella sensibilità di Pio XII un accento che incarna il vero senso del rinnovamento ecclesiale proposto più tardi dal Concilio.
In uno dei documenti più importanti del suo pontificato  -l'enciclica Mystici Corporis, una puntualizzazione teologico-dottrinale sul ruolo della Chiesa nel piano di salvezza divino - papa Pacelli afferma: «Mistero certamente tremendo, né mai sufficientemente meditato: che cioè la salvezza di molti dipenda dalle preghiere e dalle mortificazioni, a questo scopo intraprese dalle membra del mistico Corpo di Gesù Cristo, e dalla cooperazione dei Pastori e dei fedeli, specialmente dei padri e delle madri di famiglia, in collaborazione col divin Salvatore». La vera svolta doveva però giungere qualche anno più tardi.
Bisognava cioè attendere il 1963, quando Giovanni XXIII, il Papa «buono», con l'enciclica Pacem in terris considerò uno dei «segni dei tempi» proprio «l'ingresso della donna nella vita pubblica».
Un'indicazione che poco dopo il Concilio Vaticano Il rafforzò ordinando espressamente alla gerarchia cattolica di rendere le donne responsabili dell'evangelizzazione perché esse sole sanno trasformare il Vangelo in una «verità dolce, tenera, accessibile».
Papa Paolo VI, che prese il posto di Giovanni XXIII alla guida del Concilio, alla terza sessione dei lavori volle 15 «uditrici» (otto religiose e sette laiche). La loro presenza in San Pietro, seppure in una specie di matroneo, suscitò non poco interesse e curiosità, ed in qualcuno, perché no, anche scandalo.
Per la prima volta in quasi duemila anni di storia, delle donne potevano partecipare, anche se senza diritto di parola, ad uno dei momenti più importanti della vita della Chiesa, la celebrazione di un Concilio Ecumenico.
Una presenza che lasciò il segno, anche perché se non poterono intervenire in aula, le donne fecero tenacemente sentire le loro opinioni nei lavori delle commissioni. I nuovi orizzonti che si andavano schiudendo trovarono infatti ampio spazio all'interno dei documenti del magistero conciliare, specie nella Costituzione pastorale Gaudium et spes e nel Decreto sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem.
Al termine del Concilio lo stesso Paolo VI inviò addirittura un Messaggio direttamente alle donne: «Viene l'ora, l'ora è venuta, in cui la vocazione della donna si svolge con pienezza, l'ora in cui la donna acquista nella società un 'influenza, un irradiamento, un potere mai raggiunto».
Allora, come oggi, la motivazione di una simile dichiarazione era certamente religiosa. Il sano realismo cristiano, però, non trascura mai la dimensione sociale e politica.
A metà degli anni '60 era forte l'incubo della morte atomica e Paolo VI chiese alle donne di vegliare che gli uomini non facessero la follia di distruggere la vita sulla terra.
«In un momento in cui l'umanità conosce una così profonda trasformazione, le donne illuminate dallo spirito evangelico possono tanto operare per aiutare l'umanità a non decadere.»
Allo stesso modo, oggi, Giovanni Paolo Il si rivolge alle donne perché vede l'umanità minacciata dall'individualismo e dall'edonismo,
dal disprezzo per la vita e dalla cultura della morte, in una parola dal relativismo morale.
L'esempio del Concilio fu comunque subito seguito dal Sinodo dei Vescovi, dove le donne sono sempre presenti, e non solo come semplici uditrici, ma come membri dell'assemblea e quindi con diritto di parola anche in aula.
Sempre più protagoniste
Nonostante queste prime importanti aperture, tra il 1965 ed 1980 il rapporto tra i movimenti di liberazione della donna e la Chiesa non
è stato però facile. La contestazione di quegli anni, con la sua non irrilevante carica simbolica di lotta contro le istituzioni e le autorità, trasformò il Pontificato di Paolo VI in un mare in burrasca.
Il divieto di ogni atto contraccettivo contenuto nell'enciclica Humanae Vitae, promulgata proprio mentre veniva legalizzata la «pillola», era parso come un brusco ritorno al passato.
Tanto che ancora oggi una buona percentuale di donne guarda alla Chiesa come all'ultimo baluardo della misoginia.
A stemperare un po' gli animi arrivò nel 1978 papa Luciani, il quale durante un 'udienza del mercoledì, tra la sorpresa dei prelati di curia, esclamò che «Dio è Padre e Madre».
Ma il Pontificato di Giovanni Paolo VI fu troppo breve per poter dispiegare i suoi effetti. Non è poco comunque il cammino percorso in questi ultimi decenni dalla donna nella Chiesa. Oggi non è difficile trovare suore che dirigono non solo ospedali e opere assistenziali, ma anche emittenti televisive, giornali e case editrici o siedono in consigli di amministrazione dove si torna a sentir dire che «pesano come un Cardinale». Numerose sono anche, da qualche anno, le studentesse di teologia e le teologhe, mentre tra non molto -come auspicato recentemente da un documento vaticano potremo vedere delle donne fare il loro ingresso come insegnanti nei seminari, territorio finora ritenuto off limits.
Le donne partecipano così attivamente alla vita degli organismi ecclesiali, anche nella preparazione dei piani pastorali e nella elaborazione dei progetti. Mutamenti non meno rilevanti sono intervenuti, inoltre, sul terreno più «sacro» della liturgia. Se alle donne è vietato il sacerdozio, oggi alle, bambine è concesso di poter servire Messa e non stupisce vedere donne che distribuiscono la comunione. Non è, infine, così eccezionale, specie nel Terzo mondo, trovare suore che in mancanza di sacerdoti dirigono e amministrano le parrocchie.

Giovanni Paolo II
Il Papa alle donne

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