La donna nell'Italia Repubblicana
Il Primo voto delle donne
Il grado di maturità dimostrato dalla donna durante la guerra e la Resistenza non fu dimenticato dalla nuova società italiana che usciva dalle macerie materiali e morali della guerra ed era decisa a rinnovare il suo destino.
Il 2 giugno 1946, le donne furono chiamate alle urne per votare per le elezioni politiche e per esprimersi sul referendum popolare se dovesse conservarsi la monarchia o istituirsi la repubblica.
Le votazioni del 2 giugno 1946 rappresentarono una svolta nella storia del Paese.
A maggioranza si scelse la repubblica. Quella scelta significava che la società italiana intendeva rompere col passato, disegnarsi un nuovo avvenire, trasformare in meglio le situazioni presenti.
Le donne parteciparono attivamente ai dibattiti e alle votazioni, esercitando un diritto che per la prima volta nella storia italiana veniva loro riconosciuto e attribuito concretamente.
Alla donna, la Costituzione della Repubblica Italiana, che delineò i principi fondamentali della nuova società, riconobbe parità in assoluto con l'uomo e specifici e inviolabili diritti.
Innanzitutto, nell'affermazione del principio di eguaglianza tra tutti gli individui, la Costituzione fa divieto di qualunque discriminazione.
L'art. 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
All'interno della famiglia, la donna è posta moralmente e giuridicamente sullo stesso piano del marito. L'art. 29 afferma: «Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare».
La parità fra uomo e donna è ribadita fortemente riguardo al trattamento della donna sul posto di lavoro. Questo principio è difeso nell'art. 37, dove è scritto: «La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».
La protezione della maternità è non solo imposta nel mondo del lavoro, ma anche assunta come onere per lo Stato. L'art. 31 afferma che la Repubblica «protegge la maternità».
La Costituzione, inoltre, prospetta riforme e un generale rinnovamento della società, che coinvolge pienamente anche la condizione per votare femminile.
Ad esempio, l'art. 34 afferma che «la scuola è aperta a tutti". Ciò vuol dire che il servizio scolastico è offerto a tutta la società, senzadiscriminazione alcuna, al contrario di quanto avveniva durante il fascismo, quando si faceva di tutto per scoraggiare l'emancipazione della donna e si imponevano delle tasse particolari per le ragazze, che volevano proseguire gli studi dalla scuola media in su.
L'art. 34, poi, imponendo come obbligatorio per tutti un corso di studi di almeno otto anni di frequenza, in sostanza richiede una comune e identica preparazione di base per il ragazzo, come per la ragazza, che saranno i futuri cittadini del Paese.
Purtroppo, non tutte le disposizioni della Costituzione hanno trovato pronta e intera applicazione nella realtà italiana. Per alcune di esse i tempi non erano ancora maturi. È stato, quindi, necessario che le situazioni economiche, politiche, sociali e culturali italiane si modificassero, per poterle accogliere. Altre, invece, hanno incontrato l'ostilità di forze interessate a conservare antichi e nuovi privilegi e pertanto contrarie all'instaurazione di una reale democrazia nella nostra società.
Così, anche il processo di emancipazione della donna ha avuto rallentamenti e ostacoli molteplici.
Tuttavia, anche se con ritardo, alcune fondamentali istanze di miglioramento della condizione femminile sono state accolte sul piano delle leggi. Una prima importantissima legge è stata quella emanata sulla tutela fisica delle lavoratrici madri (L. 26 agosto 1950, n. 860). Essa detta norme sulle lavoratrici gestanti e puerpere che prestano la loro opera sia alle dipendenze di datori di lavoro privati, sia presso enti pubblici, sia presso aziende e uffici di Stato. Fa divieto ai datori di lavoro di licenziare le lavoratrici madri durante il periodo di gestazione e fino ad un anno di età del bambino partorito.
Stabilisce i periodi di interdizione del lavoro e i tipi di lavoro che non può svolgere la donna nel periodo immediatamente precedente e seguente il parto.
Questa legge è stata in parte modificata e integrata da altre disposizioni e norme giuridiche.
Ad esempio, la tutela delle lavoratrici madri è stata perfezionata dalla L. 9 gennaio 1963, n. 7, che vieta ai datori di lavoro di licenziare le lavoratrici per causa di matrimonio, nel periodo intercorrente tra la richiesta di pubblicazioni di matrimonio, seguite dal matrimonio stesso, e l'anno successivo alle nozze.
Sulla tutela fisica, economica e giuridica di tutti i lavoratori, uomini e donne, si sono accumulate moltissime disposizioni. In questo campo, sono state determinanti alcune sentenze di giudici, che hanno trattato cause di lavoro.
Una tappa storica è rappresentata dallo Statuto dei Lavoratori (1.20 maggio 1970, n. 300).
Infine, nel 1977, è emanata la «legge di parità sul lavoro». Essa intende rimuovere tutti gli ostacoli che si pongono alla piena occupazione della donna nel mondo del lavoro fuori di casa. Dichiara illegittime le distinzioni di carriera, di qualifica, di retribuzione fra l'uomo e la donna. Estende alla donna il diritto agli «assegni familiari». Mentre
prima, infatti, gli assegni per familiari a carico erano attribuiti ai soli uomini, adesso questo diritto è riconosciuto anche alle donne. I familiari a carico, quindi, come ad esempio i figli, possono essere assunti a scelta tanto dall'uomo, quanto dalla donna.
Inoltre, questa legge riconosce alla donna la reversibilità di pensione a favore dell'uomo. Cioè, prima solo l'uomo aveva il diritto di trasmettere la sua pensione alla moglie, in caso di morte.
Adesso, questa forma di assistenza può passare anche dalla donna all'uomo.
I coniugi, così, sono messi sullo stesso piano di trattamento economico e giuridico. In pratica, si riconosce che ambedue i coniugi possono essere tutelati e garantiti dal lavoro dell'altro.
Infine, questa legge consente anche al padre di assentarsi dal posto di lavoro per accudire i figli piccoli, in caso di malattia invece della madre. In questa maniera, si riconosce che la cura dei figli non spetta solo alla madre, ma ad ambedue i genitori.
Comunque, la parità fra l'uomo e la donna ancora non è stata raggiunta e realizzata pienamente nella nostra società.
Ci portiamo, infatti, alle spalle millenni di esperienze di distinzioni fra uomo e
donna, che non possono essere cancellate in pochi anni.
Per la parità uomo-donna è stata istituita nel 1985 presso il Gabinetto di Governo, su approvazione del Presidente del Consiglio Craxi, una speciale commissione, col compito di studiare le mancate applicazioni della legge e gli impedimenti opposti alla donna per la conquista delle posizioni a cui giustamente essa aspira. Nel 1986, per interessamento di questa commissione, per la prima volta nella storia italiana, una donna sale sul podio a dirigere un concerto come direttore d'orchestra.
Infine, nel marzo 1991, in Italia è approvata e varata una legge importantissima sulle pari opportunità fra l'uomo e la donna. Essa promuove gli interventi necessari ad incentivare l'accesso delle donne nel mercato del lavoro