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Festa delle donne 8 marzo
La donna nell'antichità

Per secoli e secoli, la donna ha avuto una dura e varia condizione di vita
Gli Etruschi ammettevano le loro mogli e le loro figlie ai banchetti alle feste, alle gare sportive. I Persiani riconoscevano il diritti di proprietà alle donne. Gli Indios d'America davano piena libertà sessuale alle loro compagne. Gli Sciti, invece, trattavano le loro madri e loro mogli e le loro figlie come delle schiave.
I Greci davano la pena di morte alla donna che avesse osato essere presente alle gare sportive delle Olimpiadi.
Nella Roma antica, un marito che si fosse stancato della moglie, poteva dirle: «Prendi le tue cose e torna casa tua». E lei se ne doveva andare. Presso alcune tribù arabe, lanascita di una bambina era motivo di dolore e di vergogna, al punto che certe volte si giungeva all'infanticidio.
Qualunque, però, fosse il trattamento riservato alla donna, sempre e dovunque essa era esclusa dalle decisioni importanti, quali quelle riguardanti la pace e la guerra, il trasferimento della famiglia, l'emigrazione di una comunità, la scelta di una nuova sede. Certe volte, questi fatti non le venivano nemmeno comunicati.
Lei poteva e doveva occuparsi soltanto della casa, dei campi,degli animali domestici, dell'allevamento dei figli. Grandissima e gravissima era la sua responsabilità nell'educazione soprattutto delle figlie. I figli maschi, appena potevano, si sottraevano all'autorità materna
Tutti gli altri problemi non potevano né dovevano riguardare la donna. Essa era considerata come incapace di reggersi e amministrarsi da sola. Era considerata e trattata come una specie di bambino bisognoso di controllo e di protezione. Il suo padre, il suo signore, il suo Dio, era l'uomo.
Dall'economia e dalla politica era spesso esclusa. Il denaro le era consegnato, perché lo spendesse per i bisogni della famiglia e, nei casi fortunati, per suoi personali capriccetti. Il denaro, però, non era suo.
Era solo un regalo che le veniva concesso. Il suo lavoro di filatura e la tessitura, al cura e allevamento dei bambini, di preparazione di cibi e delle bevande, non le era riconosciuto o pagato.
In più, le si imponeva di essere virtuosa, di aspettare il ritorno del marito, di essere sempre cedevole, mite, dolce e brava.
Tutta la vita era da lei trascorsa prima sotto il controllo e la legge del padre, poi, da sposata, sotto la protezione e la guida del marito.
Viveva in case che, in genere, la isolavano quasi completamente dall'ambiente esterno. Chiusa lì dentro, svolgeva i suoi compiti, imparava anche ad affinare l'udito e a diventare furba.
Astuzia e scaltrezza erano le armi con cui si difendeva.
La vita della schiava, naturalmente, era molto più dura di quella della donna libera. Essa, infatti, doveva sopportare il peso non so della sua famiglia, ma anche della famiglia del padrone. Doveva lavorare nei campi, nella stalla, procurare l'acqua, la legna, il fuoco, le pulizie, assistere la padrona. Se poi era giovane e bella, doveva subire le attenzioni del padrone. Aveva da lui dei figli.
I Romani chiamavano vernae.
Se ne conosceva l'origine, e spesso essi erano trattati meglio degli altri schiavetti.

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