Auguri a tutte le donne del mondo
Come un mobile di Carlo Castellaneta
Per la donna che dedica tempo e cure affettuose alla casa e alla famiglia ~ volte non c'è neppure una parola grata, uno sguardo che «vede» e comprende. E anche da questa condizione che nasce la consapevolezza dei limiti di una vita passata per lo più al servizio della casa.
Primavera sono porte che sbattono, correnti d'aria, una finestra chiusa con fragore da un colpo di vento - Oh ciao, sei tu? Non avevo sentito. Si è tolto l'impermeabile, ma senza salutarmi, come fa ogni giorno da sei anni, cioè da quando siamo sposati. Appende l'impermeabile, si frega le mani, certe volte dice: che buon odorino, va in cucina ad annusare, guarda la tavola apparecchiata. Oggi si è seduto subito, annoda il bavagliolo alla bambina, apre il giornale e aspetta, come fosse in trattoria. Di me, che esisto, si accorge solo dopo le prime forchettate.
«La mamma ha comprato i fiori» dice la bambina.
«Ah si - dice lui -, belli».
Eppure è un uomo aperto, moderno, senza pregiudizi. Non dovrebbe costargli farmi un saluto quando entra.
Invece è come se non mi vedesse, come se fossi un mobile anch'io, una parte della casa, oppure la cameriera di un vecchio signore. Una volta che mi sono lamentata si è messo a ridere: che queste sono formalità senza importanza, che si meravigliava anzi di me, di queste ossessioni da casalinga.
lo non so chi l'abbia inventata la parola casalinga, immagine orribile di lavapiatti e di ferri da calza.
Ma io gliela tengo bene questa casa, mi figuro che sia il mio ufficio, che lustrare e rassettare siano pratiche urgenti, e che lui sia una specie di capo del personale, in questa piccola ditta di tre persone, un capo benevolo che si guarderebbe dal licenziarci, ma che noi certamente non potremmo mandar via.
Si è portato alle labbra il bicchiere e mi è uscita fuori, finalmente.
«Senti, t\u mi devi salutare».
«Cos'hai detto?».
«Ho detto che devi salutarmi, quando entri».
Ha finito di scolare il suo vino, prima di rispondere.
«Ne abbiamo già parlato, no? È cosi grave?».
«Non è grave, è umiliante. Cerca di capire».
Dovrei aggiungere che io sopporto tante sue piccole manie, come fa adesso quando scrolla la cenere della sigaretta nel sugo del piatto, o quando va a buttarsi sul letto senza togliersi le scarpe. Dunque mi pare d'aver diritto anch'io a una debolezza.
«Scommetto che tuo padre faceva lo stesso».
È rimasto soprapensiero, poi ha detto: «Può essere».
«Vedi - gli ho detto -, è questa mentalità da padrone che non perderete mai».
Si è alzato e ha acceso la radio, segno che il discorso non gli garbava. Stavo per dire che anche il mattino, quando apre gli occhi e mi vede, mai che dica buongiorno, in fondo siamo compagni di viaggio che il sonno ha separato, mi sembrerebbe giusto salutarci. Lui no: si stropiccia gli occhi, fa una serie di smorfie, brontola perché la bambina è sveglia prima di noi, ma io è normalissimo che sia lì, accanto a lui, come fossi una sua gamba o un suo braccio, giornale radio e novità discografiche, un patrimenio acquisito per sempre e che ogni mattina sembra valere un po' meno.
Carlo Castellaneta
Come un mobile