Racconto di Piero Tucceri
In memoria di Jambi
Rimane impresso nella mia memoria il ricordo di un tiepido pomeriggio autunnale di quasi tre anni fa. Mio fratello Claudio e Sandra, una carissima amica di famiglia, stavano parlando fuori casa nostra. All'improvviso, sentirono qualcosa strofinarsi contro le loro gambe. Voltatisi per vedere di cosa si trattasse, scorsero la presenza di un gattino, giunto fin lì chissà da dove, il quale in quel momento cominciò a miagolare per richiamare ulteriormente la loro attenzione. Sandra si chinò subito per accarezzarlo e per prenderlo in braccio. Il piccolo gradì le sue attenzioni, sicuramente perché aveva già conosciuto il contatto umano: il che voleva dire che qualcuno lo aveva smarrito o che, ancora peggio, lo aveva abbandonato.
Il cucciolo volle poi scendere. Sandra lo assecondò, e lui, appena toccato il suolo, emettendo il suo suggestivo miagolio, si avviò deciso verso il portone di casa che nel frattempo era rimasto semiaperto. Entrò sicuro. Come se lo avesse sempre fatto. Nel timore che potesse combinare qualche danno, Claudio si affrettò a corrergli dietro. Solo che, appena entrato in casa, lo trovò raggomitolato sul cuscino posto sopra la sedia solitamente occupata da nostro padre quando era ancora in vita e rimasta lì da allora.
Trascorsero diversi minuti prima che il gattino scendesse dalla sedia per andare ad accucciarsi accanto al portone. Intuendo che volesse uscire, Claudio gli aprì per poi accompagnarlo con lo sguardo sino oltre l'angolo di casa. In quel momento, sia lui che Sandra, dubitarono in cuor loro di poterlo rivedere. Ma per fortuna non andò così. In serata il micetto tornò, annunciandosi fuori casa con il suo ormai inconfondibile miagolio. Andai io ad aprirgli. Ero ansioso di conoscerlo dopo quel che mi avevano riferito sul suo conto. Appena lo ebbi di fronte, ne rimasi affascinato. A colpirmi in particolare, fu il suo aspetto, che appariva nel contempo mite e intraprendente. Pur non conoscendomi, non si mostrò timoroso. Sembrava quasi che mi avesse sempre visto. Mi passò accanto ed entrò sicuro dentro casa. Chinatomi per accarezzarlo, mi lasciò fare, per poi accomodarsi sopra il vicino divano.
Mentre lui riposava, gli preparammo una scodellina con l'acqua e un'altra con la carne, poiché a quel punto il suo ritorno assumeva un univoco significato: voleva dire che aveva deciso di rimanere con noi! La sua scelta la ritenemmo estremamente gratificante, considerando anche che aveva nel frattempo fatto amicizia con Argo, il nostro cagnolino. Si trattenne fino a tarda sera. Poi tornò a sedersi accanto al portone. Gli aprii, per seguirlo poi con lo sguardo fino a vederlo scomparire nel buio della notte, e coltivando nel cuore la speranza di poterlo rivedere il mattino seguente. Quella sera andammo a dormire con nella mente il suo simpatico ricordo. Anche Sandra telefonò per avere sue notizie.
Puntualmente, il mattino dopo, il piccolo tornò ad annunciarsi con il suo ormai inconfondibile miagolio. Entrato in casa, andò a consumare le crocchette che avevamo preparato dentro la sua scodellina. Quindi, con la solita sicurezza, prese posto sopra la sedia occupata il pomeriggio precedente e della quale sembrava essersi prontamente appropriato.
Più tardi, venne a casa Manuel, il figlio maggiore di Sandra, il quale rimase come noi incantato da quell'intraprendente ospite. A lungo giocarono insieme a nascondino e poi con una pallina e un pupazzetto nel frattempo procurati dal ragazzo. Grazie anche alla collaborazione di Claudio, accertammo che non si trattava di un gattino, ma di una gattina! Di una simpatica micetta! Questo ci rese ancor più felici. Oltre ad Argo, ora avevamo una stupenda femminuccia che ci avrebbe sicuramente ricolmati di affetto!
Manuel si incaricò di trovarle il nome. Decise di chiamarla Jambi. E, da allora, tutti la chiamarono così. Tutti, tranne me che, essendone rimasto particolarmente incantato, la chiamavo più confidenzialmente Jambetta. Così la piccolina entrò a far parte a pieno titolo della nostra famiglia. Cominciò a entrare e a uscire di casa a suo piacimento, facendoci alzare a ogni ora della notte per accontentarla. Per ripresentarsi la mattina dopo. Mangiava e tornava a dormire sulla sua sedia. Intanto, aveva anche meglio orientate le sue abitudini alimentari: anziché la carne, preferiva le crocchette. Ed esclusivamente quelle della marca assaggiata il primo giorno che venne a casa! Insomma, aveva rapidamente preso gli inevitabili vizietti. Ma non importava: era così affettuosa, da meritare qualsiasi concessione. In breve, era diventata la padrona di casa! La nostra sola preoccupazione riguardava a quel punto i suoi continui spostamenti che rischiavano di farla finire sotto qualche macchina, tenuto conto del traffico presente nella strada fuori casa. Dall'altra parte, però, ci confortava la considerazione che, provenendo chissà da dove, fosse consapevole di quel pericolo: difatti, bastava che sentisse il rumore di un motore, per vederla correre a rifugiarsi impaurita dentro casa.
Qualche giorno dopo, la portammo al veterinario, il quale, dopo averci confermato la sua età di quasi un anno, ne constatò l'eccellente stato di salute. Nella circostanza, concordammo anche il giorno in cui l'avremmo sottoposta all'intervento di sterilizzazione, non potendo permetterci, per ragioni essenzialmente logistiche, di seguire le sue eventuali cucciolate.
La mattina dell'intervento, quasi presagendo l'esperienza che la attendeva, Jambi entrò malvolentieri dentro il trasportino. Facendolo, si lasciò sfuggire uno strano gemito. Quindi la affidammo al veterinario, con l'intesa di tornare a riprenderla nel pomeriggio. Ci congedammo da lei a malincuore. Non prima però di averla tranquillizzata e accarezzata a lungo. Le ore che seguirono furono per noi tutti lunghissime e cariche di preoccupazione. Pensavamo continuamente all'ardua prova che la attendeva. Quando finalmente nel pomeriggio tornammo a riprenderla, lei non aveva ancora smaltito completamente le conseguenze dell'anestesia, per cui rispondeva alle nostre carezze con uno sforzato miagolio. Ma non importava. Il peggio ormai era passato. Stavamo di nuovo insieme. Una volta tornata a casa, non avrebbe tardato a essere quella di prima. Più nulla e nessuno avrebbe potuto ancora separarci!
Giunti a casa, la adagiammo delicatamente sul lettino che in mattinata le avevamo preparato per terra e accanto al radiatore del termosifone per tenerla meglio al caldo, oltre che per evitarle lo sforzo di dover salire e scendere dalla sedia o dal divano. Sin dalle ore successive, ci accorgemmo tuttavia che la sua situazione clinica non migliorava; anzi, si aggravava, visto che rimaneva sempre più immobile sul suo lettino. Telefonammo al veterinario per aggiornarlo sulla situazione, ma lui si limitò a suggerirci di seguitare a somministrarle l'antibiotico prescritto e di tenerlo costantemente informato. Purtroppo, pur essendoci scrupolosamente attenuti alle sue indicazioni, la mattina dopo Jambi stava decisamente peggio. Sicuramente aveva anche la febbre, mentre dalla sutura chirurgica gemeva un liquido prodotto dalla sopravvenuta infezione. Telefonammo di nuovo al veterinario, che a quel punto ci suggerì di portargliela. Cosa che facemmo con la massima tempestività. Allora non fu difficile prelevarla, data la sua assoluta inerzia. Dopo averla visitata, il sanitario confermò l'ipotesi della sopraggiunta infezione. Dopo aver detersa accuratamente la ferita, aggiunse al già prescritto trattamento generale un prodotto topico per meglio debellare l'infezione.
Tornammo a casa molto preoccupati per la salute di Jambi. Avvertivamo la sensazione di poterla perdere. Questo ci procurava una profonda tristezza e ci incuteva ancor più un pesante senso di colpa per averle imposto un intervento non indispensabile alla sua salute. La fortuna volle che la piccolina rispondesse al meglio alle cure: infatti, sin dalle ore immediatamente successive, cominciò a manifestare i segni del miglioramento, tanto che, nel volgere di qualche giorno, recuperò completamente. Quella sofferta esperienza, ci fece promettere a Jambi di non farle più correre nel futuro nessun altro rischio che non fosse stato indispensabile per la sua salute. Da allora, lei avrebbe dovuto vivere nel migliore dei modi possibili, usufruendo nel contempo della massima libertà. E così fu. Intanto, il suo legame con Argo si consolidava ulteriormente, al punto da farli vivere pressoché in simbiosi. Anche nei nostri confronti si dimostrava sempre più affettuosa. Ormai, in casa faceva quello che voleva. La trovavamo ovunque: sulle sedie, sul divano, sopra il letto che fu di nostro padre, oltre che sopra i gradini di legno della scala che conduce al piano superiore.
Nei mesi scorsi, in relazione con la malattia e con la successiva perdita di Argo, la presenza di Jambi fu costante e indispensabile. Sentiva che stava perdendo il suo amico del cuore, per cui cercava di rimanergli accanto e di confortarlo come meglio non avrebbe potuto fare. Gli restava vicino in un sofferto silenzio. Così condivise con lui la drammaticità di quei giorni. Mentre in precedenza ci faceva alzare a ogni ora della notte per poter uscire, in quel periodo restava dentro casa: voleva rimanere accanto ad Argo e a noi. Per consolarci e per consolarsi della perdita del nostro più caro amico.
Capitava spesso che Jambi rimanesse sola in casa. Anche per diverse ore. Tutte le volte, se ne stava tranquilla al suo posto. Senza mai combinare danni. Soltanto una volta, coincisa peraltro con i primi giorni del suo arrivo, balzò sopra la gabbia dei canarini. Allora il suo istinto prevalse. Il suo salto fece però cadere la gabbia dal davanzale della finestra della cucina. Il rumore così prodotto, e la gabbia che le si rovesciò addosso, la spaventarono al punto da farla correre a rifugiarsi terrorizzata sotto l'armadio della nostra camera da letto. Richiamati dal trambusto, accorremmo per vedere cosa fosse successo, e così notammo la gabbia rovesciata sul pavimento, i canarini svolazzare per la paura subìta, e lei che, da sotto l'armadio, ci guardava con i suoi occhietti atterriti. Accortasi che nel frattempo qualcuno aveva aperto il portone di casa, corse via dal suo temporaneo rifugio e scappò fuori. Si ripresentò dopo qualche ora, ancora fortemente spaventata. Tutti noi cercammo in ogni modo di tranquillizzarla. Da quel giorno, le passò la voglia di catturare i canarini; anzi, da allora divenne addirittura loro amica, al punto da andare spesso ad accucciarsi sotto la loro gabbia.
La perdita di Argo la trasformò profondamente. Nonostante fosse triste per la scomparsa dell'inseparabile compagno, non esitò a rimanerci costantemente accanto. Questo, fino al fatidico 5 maggio scorso, quando, verso le ore 17, recandomi al garage, vidi con la coda dell'occhio sopraggiungere un'auto ad alta velocità. A bordo c'erano tre ragazzi. Dal finestrino aperto giungevano i loro schiamazzi. Arrivata alla mia altezza, sentii un rumore secco. Mi voltai per vedere cosa fosse successo. Notai così l''automobile allontanarsi ad ancor più forte velocità, con i suoi occupanti che sbraitavano sempre più eccitati. Per terra, a un paio di metri da me, giaceva ormai privo di vita il corpicino di Jambi. Me l'avevano uccisa! E per un macabro gioco! Dalla sua bocca fuoriusciva un fiotto di sangue. Sul momento rimasi inebetito. Non mi rendevo conto di cosa fosse successo. Non riuscii neppure a prendere il numero di targa dell'auto assassina. Non sembrava possibile che la piccolina fosse morta così, improvvisamente, proprio accanto a me, e per di più vittima del criminale intento di tre ragazzi! Chiamai Claudio, che subito accorse. Alla sua vista, anche lui rimase frastornato come me. Dopo esserci ripresi, prelevammo quell'inerme corpicino e lo adagiammo sul marciapiede. Quindi lo sistemammo per l'ultima volta dentro casa, in attesa di poterlo seppellire accanto a Nero e ad Argo.
Dopo la perdita di Argo, la scomparsa di Jambi ha ulteriormente svuotato di armonia la nostra casa. Adesso qui tutto è freddo e arido. Rimangono soltanto i ricordi. Tanti ricordi. I loro ricordi. Rimangono i ricordi dei meravigliosi giorni regalatici da Jambi durante la sua troppo breve esistenza. Nel volgere di qualche settimana, ci hanno lasciati prima Argo e poi Jambi. Adesso, ovunque, aleggiano la solitudine, lo sconforto e la nostalgia.
Quel che ci addolora maggiormente di questa circostanza, è che la morte di Jambi sia dipesa dalla intenzionale millanteria di tre ragazzi, i quali, per mero divertimento, abbiano spento una così preziosa esistenza. Lo hanno fatto in ossequio a una macabra liturgia alla quale molti di loro vengono corrotti da una società vocata alla gretta apologia della virtualità e dell'edonismo a scapito del ben più vasto universo affettivo ed emozionale. Se poi consideriamo che proprio a costoro sarà demandata la gestione del nostro futuro, si profila uno scenario tutt'altro che rassicurante. Con la loro aridità emozionale, quei ragazzi hanno cagionato soltanto sofferenza. Così facendo, non si sono resi conto di stare ancor più gravemente compromettendo il loro stesso avvenire, poiché dipenderà proprio dal rispettivo operato l'orientamento dei futuri assetti sociali. Perciò, non soltanto Jambi, che sicuramente lo avrà già fatto, ma anche noi che seguiteremo sempre ad amarla e a ricordarla, pur nel profondo dolore che ci prostra per la sua prematura perdita, perdoniamo quei meschini ragazzi il cui futuro è minacciato dalle procellose nubi dell'ego. Per cui, addio e grazie Jambi: grazie per la gioia e per la lezione di vita donateci nella tua troppo breve esistenza. Il tuo ricordo rimarrà sempre gelosamente custodito nei nostri cuori. Durante queste stupende notti estive, preferiamo soffermarci a guardare una stella in particolare: una delle tantissime stelle che decorano il cielo. Allora immaginiamo che quella stella sia tu, che sia felice come quando eri qui con noi e che sia propensa a rasserenarci con i tuoi indimenticabili e dolci occhietti.
Oggi ricorre l'anniversario della tua scomparsa. Ciao, Jambi: il tuo ricordo resterà sempre vivo in tutti noi. Ci manchi tantissimo.