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4 Novembre Festa delle Forze Armate

...uno dei tre austriaci portava, alta, una bandiera bianca
4 novembre FrecceTricolori all'Altare della Patria

Il cannone continuava a tuonare. Le nubi grigie ne rimandavano l'eco rimbombante; sembrava un tuono, ora più rabbioso, ora sordo; sembrava spegnersi, e poi tornava a farsi sentire più forte. La battaglia infuriava ovunque, ormai, dalle montagne giù giù sino al mare. La corrente impetuosa dei fiumi del Veneto recava con sé barche sfondate, pali anneriti dal fuoco, assi, rottami. Gli italiani gettavano ponti, e l'artiglieria austriaca li distruggeva. Ecco. ira i relitti, qualche corpo umano. Un povero soldato, venuto da qualche lontana parte d'Italia per morire sul Piave... Il cannone tuonava d'ogni parte. L'offensiva italiana era cominciata il 24 ottobre 1918: si combatteva dallo Stelvio al Lago di Garda, e via via sino al Grappa, poi lungo il Piave sino all'Adriatico.
Si combatteva per riconquistare il Veneto occupato dagli austriaci, per liberare l'Italia, per vincere la guerra. Quella era la battaglia decisiva. Lo sapevano tutti, italiani ed austriaci.
E tutti si battevan disperatamente, per guadagnare un po' di terreno, o per difenderlo: « Tutto il popolo italiano guarda in questo momento a noi, cui sono affidate In quest'ora le sorti della Patria »: Così aveva proclamato agli italiani il nostro comando; ed il comando austriaco, arrogante: « Sarebbe una vergogna senza nome aveva gridato alle sue truppe ed al mondo se gli italiani dovessero vincere! ».
Si combattè furiosamente per cinque giorni; caddero migliaia di uomini.
La mattina del 29 ottobre, alla trincea del Gufo, vicino a Serravalle all' Adige, in Vai Lagarina, si udiva il cannone tuonare da ogni parte. Ma là, c'era una relativa calma. Le sentinelle tenevano d'occhio la strada, devastata dai bombardamenti, e la linea ferroviaria, che si perdeva su, su per la stretta valle verso Rovereto e Trento. Dietro agli avamposti, si ammassavano le truppe per un attacco; c'era quella atmosfera piena di orgasmo e di tensione e di attesa che precede la battaglia...
D'un tratto, lungo la scarpata della ferrovia, apparvero tre uomini. Tre austriaci.Venivano avanti tranquillamente, come se camminassero non tra due eserciti nemici, ma su una bella strada qualsiasi...
Le sentinelle italiane alzarono i fucili, pronte al fuoco.
No. Non spararono. Rimasero là, ad occhi sbarrati, a guardare i tre austriaci.
Ciò che vedevano non lo avrebbero mai più dimenticato. Non spararono. Perché uno dei tre austriaci portava, alta, una bandiera bianca. L'Austria chiedeva un armistizio. Un ufficiale, un portabandiera ed trombettiere, venivano ad accettare la« vergogna senza nome »: a riconoscere cioè, che gli italiani avevano vinto.

La richiesta di armistizio fu accolta dagli italiani, e nel pomeriggio del 30 ottobre, su alcune automobili, sei ufficiali austriaci iniziarono le trattative, in una bella villa a qualche chilometro da Padova. E là, nella Villa Giusti, attorno ad un lucido tavolo rotondo, gli ufficiali italiani dettarono le condizioni di resa. Si dovette discutere a lungo, per tre giorni. Laggiu, in quella sala elegante, non giungeva il rombo del cannone, né il grido delle truppe lanciate all'assalto, né il crepitìo secco delle mitragliatrici. Ma, mentre si discuteva, l'attacco italiano continuava, e le truppe austriache erano sconfitte, travolte, poste in fuga, e poi accerchiate e catturate; ed il Veneto veniva riconquistato, e la nostra bella bandiera piantata a Trento ed a Trieste...
Il tricolore italiano
L'armistizio fu firmato il 3 novembre. Il giorno dopo, 4 novembre, su tutto il fronte scese un grande silenzio, e non si sparò piu. La bandiera gialla e nera degli austriaci fu ammainata. Il tricolore prese il suo posto.

L'Austria, però, fece di tutto per non riconoscere la sua sconfitta. Nella speranza di salvare il suo esercito, propose di sospendere le operazioni militari; poi cercò di far credere che, in verità, gli italiani non avevano dovuto combattere veramente, per vincere. Pur di non consegnare la sua flotta all'Italia, la consegnò alla Jugoslavia...Tutto ciò, però, non poté cambiare la realtà. E la realtà è che gli austriaci ormai in grande disordine, con i soldati che non volevano piu ubbidire ai comandanti, e che si abbandonavano agli incendi ed ai saccheggi furono spazzati via dal Veneto, o catturati; la realtà è che, in conseguenza della sconfitta
austriaca in Italia, la Germania (che era alleata all' Austria, e che combatteva in Francia contro i francesi, gli inglesi e gli americani) si decise ad arrendersi. La realtà è che, dopo la battaglia decisiva, « i resti di quello che era stato uno dei piu potenti eserciti del mondo risalivano in disordine e senza speranza le.. valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza ».

Cosi, il 4 novembre 1918, gli italiani vinsero l'ultima guerra del Risorgimento; vinsero la loro « grande guerra ». E cosi, sacrificando piu di mezzo milione di uomini - tra i quali i piu giovani, i più forti, i piu sani, e moltissimi dei migliori, che avrebbero dovuto prendere la direzione ed il governo della nostra Patria gli italiani portarono a compimento l'opera Iniziata dai loro nonni più di cent'anni prima: e ci diedero l'Italia tutta intera e tutta redenta, fino ai suoi confini naturali, che non potranno mai più essere toccati e discussi.
Cosi vinsero, restando per. mesi e mesi nelle trincee, piene di fango e di pioggia e di topi; o gettandosi all'attacco, sicuri di morire, su per le montagne bruciate dal fuoco e scavate dal ferro: vinsero soffrendo la fame ed il freddo sulle posizioni scavate nella roccia, o battendosi disperatamente tra le macerie dei paesi del Veneto martire. Cosi vinsero tenendo duro, in mezzo alla amarezza ed allo scoraggiamento, dopo sconfitte e ritirate, quando tutto sembrava crollare intorno. Vinsero umilmente, facendo il loro dovere senza chiasso e senza fanfare.
E sono i nostri bisnonni, quelli della Guerra mondiale, sono i nostri nonni e i nostri padri: loro sono quelli del Piave e di Vittorio Veneto; li vediamo tutti i giorni, sediamo a tavola con essi; ci insegnano nelle scuole, scrivono sui nostri giornali, lavorano nei nostri campi e nelle nostre officine.
Il 4 Novembre è la loro festa, anche se a molti di essi non piace, per modestia, parlare di quel grande giorno; e il 4 Novembre è il giorno in cui non dobbiamo andare da loro, prenderli per mano e dire: Grazie.

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