Poesia di Alessandro Manzoni
Il Natale del 1833
Sì che Tu sei terribile!
Sì che in quei lini ascoso,
In braccio a quella Vergine,
Sovra quel sen pietoso,
Come da sopra i turbini
Regni, o Fanciul severo!
E' fato il tuo pensiero,
È legge il tuo vagir.
Vedi le nostre lagrime,
Intendi i nostri gridi;
Il voler nostro interroghi,
E a tuo voler decidi.
Mentre a stornar la folgore
Trepido il prego ascende
Sorda la folgor scende
Dove tu vuoi ferir.
Ma tu pur nasci a piangere,
Ma da quel cor ferito
Sorgerà pure un gemito,
Un prego inesaudito:
E questa tua fra gli uomini
Unicamente amata,
Nel guardo tuo beata,
Ebra del tuo respir,
Vezzi or ti fa; ti supplica
Suo pargolo, suo Dio,
Ti stringe al cor, che attonito
Va ripetendo: è mio!
Un dì con altro palpito,
Un dì con altra fronte,
Ti seguirà sul monte.
E ti vedrà morir.
Onnipotente
L’essere
tu puoi schiacciar nel nulla,
e il cosmo puoi dissolvere
dall’umile tua culla;
dall’alto dell’Empireo
tu’l puoi, Onnipotente,
ma piccolo e piangente
fatto ti sei per me;
ma morirai sul Golgota
tra sofferenze atroci,
in una scia immettendoti
di innumerate croci;
e se sul colle d’Efrata
tu vieni oggi nel mondo,
in questo dì giocondo
già quel supplizio c’è.
La mangiatoia povera
del santo tuo Natale
assume già l’immagine
di pietra sepolcrale;
la veste tua é un sudario,
é il tuo vagir lo strillo
che nell’estremo assillo
al Padre lancerai;
la tua gaudiosa nascita
val sol per la tua morte,
varchi il cancel d’Elisio
per ire all’atre porte;
gloria e terror t’attendono,
ma accetti tu ambedue,
e per le doglie tue
Signor ti chiamerai!
Infatti tu sei l'unico,
Gesù, che mi consoli;
tu che la mia amatissima
consorte già mi involi;
tu che col cor mi sradichi
la mia adorata moglie,
il Dio che me la toglie,
il Dio che me la dié;
tu che permani tacito
mercé le mie preghiere;
tu che non muovi un muscolo
quand’io sto per cadere;
tu che disponi un termine
ai giorni che ci desti,
ti vorrei dir: che festi?
Ti vorrei dir: perché?
Eppure, mentre flebile
il mio lamento spira,
lo sguardo pien di lacrime
il crocifisso mira,
e al labbro sgorga un rantolo:
o Cristo, che siam noi?
Non perdonasti ai tuoi,
non perdonasti a te!
Così, il mio triste scandalo
la croce tua mi addita,
donde mi viene un alito,
un alito di vita;
tu parli nel silenzio,
sei nella notte giorno:
morrò, s’io non ritorno,
culla beata, a te!
E tu, tra gli umili umile,
tu, Madre del dolore,
cui i perfidi trafiggono
perpetuamente il cuore,
le cui pietose suppliche
ascolta sempre Iddio,
e col Signor tuo e mio
vivrai sempre lassù;
tu sai che cos’è il piangere,
tu sai cos’è il tremare,
poi che sentisti il popolo
Barabba reclamare,
poi che il tuo sguardo placido
s’estinse sulla croce,
che ti morì la voce
nel nome di Gesù.
Guarda ai tuoi figli miseri,
dolenti e derelitti,
nel lacrimoso esilio
tra il sangue ed i delitti,
tra il mal fatto con gaudio,
tra guerre e dittature
che strazian l’alme pure
nel modo più crudel.
Signora, non permettere
che l’uom due volte muoia;
dall’Orco fai risorgere
del Suo Natal la gioia!
La luce fai risplendere
della divina speme,
ché un dì ritorni insieme
ad Enrichetta in ciel.
Alessandro Manzoni scrive questa poesia poco dopo la morte della moglie Enrichetta Blondel e della figlia Giulia, sposata con Massimo d’Azeglio.