Racconto di Marcello Chinca
Venice in my mind
Pur abitando nella sua casa, con Anna a Venezia si incontravano soltanto a pranzo e a cena a casa, ogni volta pranzando in una vineria diversa tra San Polo, Rialto e Santa Margherita, Cantina Do Spade, Cantina Do Mori, Osteria al Diavolo,·quella del Garanghelo o alla Bifora, finendo immancabilmente al Caffè del Doge per un caffè di Cuba affogato alla panna.
Per lo più anguste vinerie, dai soffitti e tavoli di legno,·vinerie in cui sono conservate ancora una tradizione culinaria e la caratteristica di tutti i veneziani che abitano al centro, cioè quella di bere e bevendo lamentarsi e cianciare su tutto. Qui si trova·ancora lo spirito veneziano, curioso del forestiero, gentile nei modi,·con uno spiccato senso comunicativo. Il vino è servito assieme a spuntini di arancini di pesce, alici marinate, Batacin, polpi in umido, seppie arrosto, gamberetti fritti con polenta. Il vino alla mescita può essere Chardonay, Valpolicella, o Piccolit. Davvero tutti qui bevono parecchio.
Si aveva freddo, si esce senza curarsene più, oquaci,·sospesi quasi nel camminare. Il vino offre effervescenza, brio e calore. Un proverbio qui sibilla: ·'Chi ben beve, ben dorme, chi ben dorme, mal no pensa, chi mal no pensa, mal no fa, chi mal no fa, in paradiso va, ora ben bevè che paradiso avarè'.
Il Museo Correr contiene disegni del vedutista Ippolito Califfi. Due disegni sono riprodotti nella sua guida Touring Club, gli piacerebbe vederli·ma si è promesso di visitare la città percorrendo i suoi calli e ponti, rinunciando alle visite museali.
Peregrinando per la città ovviamente è pure entrato in chiese prestigiose, la chiesa dei Frari con un coro ligneo stupendo e la tomba del Canova, l'affresco del Tiziano, la chiesa della Carità che contiene il Sogno di S. Orsola del Carpaccio, la chiesa di San Gabriele con una notevole Deposizione di Palma il Giovane proprio al centro del sagrato.
A piedi in un intero mattino ha percorso il tragitto che va da San Tomè al·campo delle Beccarie, quindi· piazza San Marco,·via degli Schiavoni, via Garibaldi, infine costeggiando il canale ha raggiunto Campo San Pietro,·e poi l'Arsenale che all'entrata·fà svettare un magnifico Apollo con arco.
Al ritorno, ritransitando per il ponte di Rialto, era nuovamente tra la folla dei pedoni.
A S. Polo vede Anna venirgli incontro. Le offre un pranzo completo, antipasto, tagliatelle ai funghi, arrosto misto di carne, vino rosso un litro. Glielo doveva.
Il pomeriggio in genere sta tranquillo a casa, al tepore della stufa a gas, con davanti la portafinestra che da sulla piazza. Legge su Venezia sulla guida Touring Club, completa la lettura de il Secolo breve di Hobsbawn. Concorda quasi totalmente sulle sue tesi, a parte il giudizio·sull'arte contemporanea che trova troppo conservatore, almeno a lui così pare.
La sera si preparano la cena.·Si parlano dei loro giorni al Liceo, dei compagni di classe eclissati. Si esce un'ultima volta per chiudere le saracinesche del negozio. Sembrano una coppia collaudata da tempo. Ma in effetti non lo sono. Dopo le prime due notti in cui lei l'ha cercato, non si sono più toccati. Eppure sono come congeniali in questo tran-tran quotidiano.
Dal primo piano dell'edificio può scorgere l'incessante·passeggio dei pedoni·tra piazzale Roma e piazza San Marco. Il cigolio sui lastroni dei troley si amplifica nelle piazze e li senti sfrigolare·anche di notte. Chi va, chi torna, i veneziani li riconosci dal passo affrettato,·come pesci pilota senza alcun·nesso col resto del branco.
Dopo le escursioni mattutine e postpranziali si mette alla sera sempre seduto di fronte la finestra che affaccia su San Tomà. Ha qualcosa di devozionale questa marcia senza fine che intravede dalla finestra, quasi che ogni pedone debba conseguire il Te absolvo alla fine del percorso.
La fine della Repubblica di Venezia risale al 1797 col·tradimento congiunto ad opera di Napoleone·e Austriaci. Foscolo piangerà Venezia dall'esilio,·Jacopo Ortis sarà l'ultimo seguace·di quell'ideale di libertà, ideale che fu alla portata dei Veneziani, si sente nel Jacopo Ortis il rammarico e il dolore per un valore che fu ritenuto effettivo.
E' così, la città si è fermata a quella data, tutto raccorda all'evento catastrofico che l'ha come cristallizzata da allora sino ai giorni attuali· un po' come città vetrina.
L'effetto di entrare a piazza San Marco è sbalorditivo. Si tratta di un sipario che si apre agli occhi·appena ci si affacci sulla piazza. Abbaglia il sole e l'aria umida vi inganna la vista in un allucinazione improbabile, fuori dai·consueti parametri: prima la facciata e le cupole della Basilica a sinistra, a destra le Procuratie interminabili, il campanile campeggia come in un olio di De Chirico su·Palazzo Ducale, poi la Torre dell'Orologio, le due colonne in riva al canale,·più in là·il canale·e l'isola di San Giorgio Maggiore, si riesce a vedere il portale e le statue della chiesa di San Giorgio. C'è la mano del Palladio nella facciata e si vede.
Tutto qui è·ravvicinato anche se la panoramica è sconfinata, così dovevavo averla immaginata:·visione che abbracciasse l'intero territorio,·visione damascata di ori e marmi, colonne e campanili, guglie e cupole, solcata dai tagliamare dei vascelli e dei bragozzi, dagli scalmi delle gondole tra i canali lungo le banchine, banchine allora fervide di casse di merci e stoffe,· coi banchi di pescivendoli e di fruttaroli, i colori vividi dei banchi di spezie, rossi ruggine, gialli intensi, in un tramestio e ciangottare intorno di genti, ricchi o proletari, ambulanti da ogni parte del Mondo, d'ogni lingua e colore! Questo invito alla socievolezza, dove si incontra l'altro anche per sfottersi davanti ad un'ombra de vin. ·
Venezia avrà sempre un fascino così potente da cambiare l'umore di chi vi passeggi, di chi avventuri i suoi passi tra calli, campielli, sottopassi e ponti. E' una città sul mare che emancipa l'uomo dal suo tranvai doloroso, che lo convince sulla nobiltà degli uomini, gli stessi che qui hanno giocato con la natura, coi suoi meandri lagunari, i suoi vicoli, in un sentore diffuso di mare, di cibi marinati o fritti.
La città riporta edifici et artefatti che vanno dal 11° secolo sino al diciannovesimo. Da allora è rimasta invariata, superba e amata per questo maquilage dei suoi retaggi architettonici da chiunque ci si inoltri.
Un omaggio barocco che la città merita senz'altro. Nonostante l'invasione delle masse ogni giorno, nonostante in tutto il Rialto non sia rimasta traccia dell'artigiano, del calzolaio, del rigattiere, del fabbro, del falegname, ossatura un tempo della città.
Se ignorate i negozi di maschere che s'accalcano sino all'inflazione, il fascino risalta però inalterato, non date retta perciò ai detrattori. Niente la deprime Venezia. Solo l'acqua è il suo pericolo. Un pericolo che giunge dal mare.
Piazza San Marco è indubbiamente la piazza più magnifica del Mondo. Nessuno potrà dire il contrario. Merito dell'aristrocrazia mercantile e finanziaria, va detto. Lungimiranza di una casta attiva e fiorente, in fondo assai laica,· che ha dato a· Venezia il suo imprimatur: un gusto per la raffinatezza, un'estetica che univa l'Oriente all'Occidente cristiano. La storia della Serenissima ricorda una città multiforme, aperta a razze e dialetti, baricentro di traffici commerciali e creditizi, ma soprattutto capacità di penetrazione nei mercati internazionali che faceva di Venezia un Impero, nonostante l'ossatura democratica
L'Oriente sarà per Venezia l'obiettivo primario anche militare, un obiettivo che non si realizzerà mai del tutto, anche quando Venezia estenderà al massimo i suoi domini diretti nelle Ionie, nelle Cicladi, sino a Costantinopoli e le coste del Mar Nero. Quell'agognato luogo, quel sogno collettivo, quell'Impero Venezia finirà per realizzarlo nei secoli dentro i suoi stessi confini. Opera nei secoli di un Demiurgo invisibile, Spirito e Realizzo cittadino dell'idea platonica.
Si salutarono alla stazione dei treni·entrambi perplessi e reticenti. S'abbracciarono, lei gli disse di tornare in Primavera. Lui disse forse. Sapevano che era finita. Avevano creduto di rinverdire la loro avventura, iniziata trenta anni prima. Ma s'erano resi conto che il Tempo, quei trenta anni latitanti l'uno dall'altro, aveva inciso in loro il crisma d'uno scetticismo che non poteva essere cancellato. Sembravano due sopravvissuti, troppo occupati a vivere, troppo delusi per amarsi col candore inedito degli innamorati.
Anna l'aveva capito dopo soli tre giorni che lui era ospite nella sua casa. Allora era sbottata. Glielo aveva detto chiaro e tondo che non poteva permettersi una relazione basata unicamente su una sorte di amichevole condiscendenza. Lui l'aveva ascoltata senza reagire, poi le aveva detto che sarebbe partito il lunedì dopo. Ma nei giorni successivi, durante le sue passeggiate in solitario, gli gravò nella coscienza quanto lei gli aveva detto, la subitaneità di quella sua consapevolezza di loro, il suo rifuggire radicale da ogni illusione di qualcosa. Sapeva che lo scoramento di Anna era dipeso in larga parte da lui, ma si sentì lo stesso come rifiutato ed in segreto doveva combattere con una sensazione di rancore e svilimento.
Quando era ancora in treno gli giunse il suo messaggio: 'Scusami, se sono stata precipitosa, se non t'ho lasciato alternativa, forse sono stata inclemente'
Lui lesse il messaggio, rispose che non doveva angustiarsi, che lei era stata nel giusto a chiarire da subito la questione'.
Solo allora si rese conto come lei l'avesse sollevato da un peso della coscienza: pensare di amare una donna che si è amata in passato, prospettarsi con lei una vita assieme, lei con le sue porcellane, lui allo scrittoio davanti la finestra che dà sulla piazza, intento a scrivere tutto il giorno,
Questo lei glielo aveva prospettato il primo giorno che lui aveva messo piede dentro la casa. La proposta lo aveva allora allettato certo, ma non aveva replicato. Non c'era riuscito. Non gli riusciva di essere ipocrita, non gli riesce mai. Anna aveva capito già allora e non aveva aggiunto altro. Da allora non s'erano più nemmeno sfiorati, quando si ritiravano per dormire nel letto matrimoniale. Si parlavano quasi sussurrando per un po', non c'era traccia di tensione o rancore in loro, veramente si parlavano come dei consumati coniugi, senza più voglie, rassenerati quasi da questa loro pace che nulla poteva scalfire.
La domenica erano approdati con la gondola sulla riva opposta del Canal Grande. Anna aveva nell'isola della Giuditta un monolocale che intendeva affittare. Si fecero un giro a piedi per il quartiere che risultò completamente disabitato, quasi spettrale coi suoi vicoli vuoti, le finestre dei palazzi sbarrate dagli scuri. Se Venezia dava un'impressione melanconica, qui s'affondava in un senso di desolazione, quella parte della città pareva fosse stata evacuata o costretta in quarantena.
Ripresero la gondola per tornare sull'altra sponda. Per reazione lui la fece ridere, riuscì ora a rassenerarla un po'. Raggiunsero a piedi l'Univesità Ca' Foscari, quindi il Tribunale.
Si fermarono a mangiare qualcosa all'osteria alla Bifora. Ne uscirono pimpanti ed allegri.
Aveva poi lasciato Anna presso il suo laboratorio e s'era diretto verso casa quando vide un vaso d'epoca in una vetrina. Era un vaso alto mezzo metro, appena svasato in basso, qua e là ossidato ma di un colore verde scuro meraviglioso, con tonalità accese e cangianti a seconda della luce.
Entrò. L'antiquario disse il che il vaso, fabbricato a Murano nel 1910,· valeva 1800 eu, ma che poteva averlo per 1500, lui replicò che doveva pensarci. No, non poteva permetterselo! Quando c'era tornato la sera con Anna, il vaso già non c'era più. L'antiquario disse che l'aveva venduto, gli fece vedere altri vasi simili,· nessuno però lo conquistò. Niente da fare. Almeno qualcuno oggi l'aveva pensata come lui, si confortò con questo pensiero.
La sera cucinò lui, una Amatriciana coi fiocchi. Mentre era intento a far rosolare cipolle e guanciale, le lesse alcune sue poesie recenti. Anna gli regalò un boccale di vetro di Murano e la guida Corto Maltese su Venezia. Dovette insistere perchè lui accettasse. Lui stappò una bottiglia di Chardonet, riempì i due calici, brindarono. 'A Venezia!' propose lui. 'All'amore' ribattè lei fissandolo enigmaticamente, poi aggiungendo: 'Non ti mettere idee strane in testa'.
Risero come si fossero entrambi liberati da tutte le aspettative e premeditazioni, quell'amore che non era sbocciato più dal loro breve connubio non faceva più male, perlomeno, quella sera,· non ci pensarono più.
Marcello Chinca