Poesia di Angiolo Silvio Novaro
La luna, l'usignolo e le rose
Nell'ora che ogni vetta
diventa violetta
e dondola ogni cuna,
uscì la bianca luna.
La luna uscì sul mare.
e il mùsico usignolo,
che addormiva il suo duolo
sotto un dolce cantare,
ammutolì: stupore
gl'invase il picciol cuore.
Preso ebbe il cuore, e tacque
l'usignol, sì gli piacque
la bianca e schietta luna
nell'ora che ogni vetta
diventa violetta
e dondola ogni cuna.
L'usignolo tacque, assorto;
ma le rose dell'orto,
chine a specchiarsi al fonte.
alzarono la fronte
verso la bianca luna,
e momrorava ognuna:
Bacia me, bacia me,
che son la più bella;
bacia me, bacia me,
che sono tua sorella.
Appena udì le rose,
la luna si nascose
sdegnata e pallidetta
dietro una nuvoletta;
ma poi vi aperse un foro,
e con un raggio d'oro,
che parve una saetta,
baciava l'usignolo,
lui che tace a, lui solo.
Bella è l'introduzione di questa poesia che, con poche indovinate espressioni, ti aiuta a penetrare nell'armonia del tramonto.
L'aggettivo bianca, attribuito alla luna; efficacemente presenta il nuovo chiarore che, col suo apparire improvviso, turba e stupisce il povero usignolo.
La ripetizione di alcune parole, riesce a dare una dolce cadenza di nenia a questi versi. Mostrandoti muto l'uccellino dal canto armonioso, e vanitosamente loquaci le rose, l'autore è giunto, pur attraverso l'irrealtà della favola, ad una conclusione che contiene una profonda giustizia. La luna, infatti, disdegna la superbia ed invia un raggio solo, che, con tocco delicato, bacia il povero uccellino.