Poesia di Aleardo Aleardi
Le paludi pontine
Vedi là quella valle interminata
che lungo la toscana onda si spiega,
quasi tappeto di smeraldi adorno,
che de le molli deità marine
l'orma attende odorosa? Essa è di venti
obliate cittadi il cimitero:
è la palude che dal Ponto ha nome.
Sì placida s'allunga, e da sì dense
famiglie di vivaci erbe sorrisa,
che ti pare una Tempe, a cui sol manchi
il venturoso abitatore. E pure
tra i solchi rei della Saturnia terra
cresce perenne una virtù funesta,
che si chiama la Morte. Allor che ne le
meste per tanta luce ore d'estate
il sole incombe assiduamente ai campi,
traggono a mille qui, come la dura
fame ne li consiglia, i mietitori:
ed han figura di color che vanno
dolorosi all'esiglio; e già le brune
pupille il venenato aere contrista.
Qui non la nota d'amoroso augello
quell'anime consola e non allegra
niuna canzone dei natali Abruzzi
le patetiche bande. Taciturni
falcian le mèssi di signori ignoti;
e quando la sudata opra è compiuta,
riedono taciturni; e sol talora
la passione dei ritorni addoppia
col domestico suon la cornamusa.
Ahi! ma non riedon tutti; e v’à chi siede
moribondo in un solco; e col supremo
sguardo ricerca d’un fedel parente
che la mercè de la sua vita arrechi
a la tremula madre, e la parola
del figliuol che non torna. E mentre muore
così solo e deserto, ode lontano
i vïatori, cui misura i passi
col domestico suon la cornamusa.
E allor che nei venturi anni discende
a côr le mèssi un orfanello, e sente
remar sotto un manipolo la falce,
lacrima e pensa: Questa spiga forse
crebbe su le insepolte ossa paterne.
da I Canti